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In quella terra che è l’Istria c’è tutta l’immagine, la fotografia di quello che è stato il rally croato. Una regione, appunto, “caleidoscopica”, multiforme, di varie tonalità; la multietnicità di Porec, mito di un turismo croato intemperante, sfrenato, al centro di un flusso che ha catturato l’intero territorio dalmatico. E del resto, in quelle splendide cittadine accatastate sulla così affascinante fascia costiera frastagliata istriana, c’è anche un po’ di cultura italiana, intrisa dalla circostante campagna slava. E’ questo il profilo, il contesto di una gara contraddistinta anche nel suo cuore sportivo dalla proprietà del multicolore. Si passa dall’Europa dell’Est a quella occidentale, passando per un rappresentante del Sudafrica, Lategan, giunto in Europa per mantenere un contatto con quello che è tuttora il fulcro rallistico mondiale: sotto questo punto di vista, la Croazia si impone come importante crocevia, grazie ai ridotti costi richiesti dalla trasferta e per la sua “centralità” in ottica geografica. Dunque, il “tòpos” si presenta in ottima forma e rilancia la concezione dello sport come volano e spinta per l’economia turistica, nonché come valorizzazione della ricchezza naturalistica locale; da una prospettiva più legata al tema tecnico, invece sorgono quesiti di ben più ampio respiro, poiché se sul piano della quantità non è contestabile certamente il risultato ottenuto, ben diverso è la qualità della lista partenti. Gli internazionali, insufficienti nel numero, hanno dominato la scena a fronte di una totale immobilità da parte dei locali, fra errori dozzinali e prestazioni davvero inconsistenti; evenienza paradossale, giacché elementi quali asfalto scivoloso, carenza di grip, nonché la pioggia, dovrebbero concorrere ad equilibrare la prestazione e a ridurre la forbice, il gap che c’è fra l’interprete di esperienza e l’outsider nazionale. Valori, invece, che si sono dilatati e hanno condotto ad un sostanziale appiattimento dell’appuntamento. Senza dimenticare che i percorsi selezionati, difficili, impervi e poco coesi, privi di un leitmotiv unificante o codificante, sono l’ostacolo finale da rivedere e rimodellare, gli ormai celeberrimi lacci e lacciuoli, limitanti nei confronti di quei rally emergenti che vogliono farsi strada nel contesto continentale. Anche perché è fatto ormai noto che la complessità e imprevedibilità del tracciato deve inequivocabilmente farsi strada con la sicurezza e con standard di guidabilità, variabili talvolta “violate” nell’Europeo Rally.
CLASSIFICA DEI PROTAGONISTI
Jan Kopecky 9
Nel panorama croato, di ampio respiro, spunta nuovamente Kopecky, dominatore solitario di un evento che pure aveva già spianato il terreno per il suo successo; in altre parole, è stata una marcia trionfale, la parata e il monologo di un pilota che attendeva da anni l’età dell’oro, giunta pro tempore. La reazione del ceco non è stata rabbiosa, a seguito di tre anni bollati da “eterno secondo”, bensì pacata: non è più il Kopecky a cui sfugge la prima vittoria su terra in Portogallo, il successo lo cerca nel tempo, nell’attesa in una sorta di continuo logorio degli avversari. Ciò che Skoda ha in mano è un talento celato, nascosto, non è esplosivo, non è il driver che esegue il colpo di coda, a sorpresa, poiché la priorità è sempre stata l’affidabilità e la continuità, valori sfumati nel tempo e scartati a favore di giovani sensazionali, effigiati con virtù altrettanto notevoli, ma del tutto manchevoli nel ruolo di contadini, che seminano e guardano nel lungo termine. La Croazia, più che offrire conferme, è l’allegoria di uno sportivo brillante, operoso ed efficace, giunto al successo per merito della regolarità. E se fosse l’archetipo di ciò di cui necessitano in Volkswagen?
Sotto questo profilo, il ceco ha inviato un messaggio ben delineato, rivelandosi appropriato per un ritorno nel WRC, in chiave totalmente rivista rispetto al decennio scorso. STAKANOVISTA
Andreas Aigner 9
Il posto d’onore, ma anche quello di vincitore morale, spetta inequivocabilmente ad Andreas Aigner, unico fra i top drivers ad inserire nella propria performance un valore aggiunto, la sagacia e l’azzardo, perché nelle insidie bisogna agire e osare, non consultarsi. La modestia, d’altronde, non appartiene all’austriaco e quantomeno tenta di giocare la carta del rischio nella “roulette croata” per blindare un podio in realtà ampiamente alla portata, di fronte al sostanziale impasse dei locali. E poi bisogna custodire il Production Cup, vero oggetto ambito da Aigner. Una via perniciosa, satura di ostacoli, ma altrettanto densa di vantaggi, confluiti in un bottino ricco e anche carico di gloria, con una leadership difesa con denti e unghie. Ardimento e passione d’altri tempi. CORAGGIO E ASTUZIA
Hermann Gassner jr. 8
C’è infine la figura del terzo incomodo, di colui li quale si presenta da outsider rispettandone i “canoni”, a partire dalla regolarità, dall’ordine, principi fondanti della performance del tedesco, in forte riscatto dopo un frangente del 2013 trascorso in sordina, dietro le quinte del grande palcoscenico europeo, di cui si era manifestato importante componente. Il rilancio non poteva che avvenire dal basso, con una prova magistrale, costante, con una vettura R4, confrontandosi e interfacciandosi con una platea di avversari nuovi, ma comunque temibili. Emerge dunque la vera sfida del weekend, fra “piedi pesanti” abili nel sopperire il gap delle proprie vetture, con il tedesco tonico sul fondo viscido e finalmente al vertice di una serie nella quale non ha sempre convinto. IN AUGE
Pieter Tsjoen-Bernd Casier 7
Positiva anche la gara del duetto Tsjoen-Casier, in recupero dopo aver abbandonato l’evento nazionale a causa della rottura del motore. Un esperimento inedito, originale, che sin dalla genesi ha avuto l’idea del cameratismo, sulla base del quale si posa una collaborazione stretta, se non vincolante, pilota-copilota e viceversa. Una visione del rally differente, in cui il protagonista prova a cimentarsi in una maschera differente. E se dall’origine la dualità del ruolo non è stata felice in quanto a riscontri iniziali, ha avuto continuità e ha cominciato ad essere fruttifera, con lo straordinario operato di Tsjoen, spumeggiante e chiaramente unico driver capace di competere sul profilo di Kopecky. L’assenza di sponsor sulla vettura, del resto, è l’altra faccia di questa prova, casareccia e priva di finalità prettamente pratiche. SIMBIOSI
Henk Lategan 7
Parlando di forme e colori, la tonalità più vivace non può che essere rappresentata dal giovanissimo Lategan, denso di energie e prestanza, archetipo del giovane giunto in Europa, una sorta di grande ed infinita corporazione dell’arte dell’asfalto: una terra di raffronto muscolare, ma certamente eccellente, affiorano tuttora numerosi errori sull’imprevedibile e scivoloso asfalto croato, in cui il fattore umano impone la sua rilevanza. Un tassello di un mosaico multiforme, una palestra aperta ad un altrettanto inusuale confronto in primo luogo generazionale. La prova, dunque, si orienta come un possibile passo in avanti in ottica 2014, quando il sudafricano potrebbe diventare parte integrante dell’Europeo Rally, con un bagaglio di talento notevole, ancora da affinare.
CLASSIFICHE MINORI
Aleks Humar 7½
Nel disastro dei piloti balcanici, fra i piloti appartenenti al territorio ex-yugoslavo solo la Slovenia si salva dal buco nero in cui sono precipitati i primi. E la firma più rilevante appartiene al dominatore del campionato sloveno, Humar, uno di quei privati che ogni tanto escono allo scoperto da un letargo imposto dai limiti del budget. Il vincitore delle due ruote motrici semplicemente viaggia in un’altra dimensione, domina “sull’asciutto e sul bagnato” riducendo gli avversari a riduttive comparse. Sfidando, senza alcun indugio, anche i rivali superiori di classe.
Juraj Šebalj e Daniel Šaškin 5
No, non è accettabile presentarsi con i galloni di favoriti, nel simbolo di una classe ruggente alla riscossa, pronta a conquistare nuove frontiere. E’ un flop colossale, che ha le dimensioni dell’impreparazione culturale nell’ambito del motorsport, di una Croazia che, in tal senso, è velleitaria ma non ha i prerequisiti per esserlo. La percezione del fallimento colossale la si ha nell’incidente di Sebalj, da leader dei croati a gregario che, nel tentativo un po’ tracotante di recuperare nei confronti dei navigati dell’ERC, fino a giungere nel podio. Una foto istantanea che si sostituisce alla Croazia inguardabile e con Saskin, di fatto mai in partita. E’ la descrizione, piuttosto, di una non-presenza: la vittoria è un obiettivo ambizioso, ma a mancare è perfino l’onore delle armi, poiché in questo contesto non c’è neppure l’elemento del prestigio salvaguardato.