photo by Nani Roma

La Dakar ha sempre fatto da trampolino di lancio per chi voleva emergere nella dura e spietata disciplina dei Rally Raid. Al contrario di un semplice rally, la tecnica da adottare è molto diversa con dei rischi, a volte, davvero consistenti che possono portare al peggio. Non tutti sono stati in grado di emergere, come ad esempio il sudafricano Alfie Cox. Un pilota velocissimo, che ha sempre dato del gran gas ma a cui è mancato quel pizzico in più per giungere alla vittoria. Ma oggi parliamo di un altro tipo di storia: Juan “Nani” Roma Cararach. Un nome che da tanti anni a questa parte ha fatto eco nel difficile circus della Dakar. Spagnolo, nato a Folgueroles nel 1972 ha da sempre avuto le due ruote tassellate nel sangue. Infatti l’enduro è stato il suo trampolino di lancio, per tutta la sua carriera fino ai giorni nostri.

Paradossalmente possiamo definire lo spagnolo come il Colin McRae della Dakar. Non verrà ricordato per i suoi strabilianti risultati, ma per le innumerevoli moto distrutte e il grande cuore, che lo accompagna ad ogni competizione. Come anticipato, l’enduro è sempre stato l’amore incontrastato di Nani, portandolo addirittura a collezionare due vittore alla Sei Giorni Enduro. Al tempo però non aveva ancora assaggiato la ruvida e incredibilmente infima sabbia del deserto. Il richiamo dell’Africa non si fece attendere. Fu proprio la Sei Giorni ad offrirgli il trampolino di lancio. Grazie a quella grande prestazione su Husqvarna 250 2T, l’anno successivo partecipò al Baja Aragon. Vinse.

Tra tutti un personaggio lo notò. Niente poco di meno che Jordi Arcarons. Gli offrì una moto, chiaramente una KTM. Era poco più che originale, ma per muovere i primi passi era più che sufficiente. Era il 1996. In quegli anni impazzavano Stephane Peterhansel, Fabrizio Meoni, Edi Orioli, Heinz Kinigardner…nomi che risuonavano continuamente nelle varie testate giornalistiche del settore. Ma quell’anno andarono letteralmente tutti fuori di testa. Quel giovane spagnolo stava facendo dei numeri pazzeschi e dopo poco più di quattrocento chilometri era in testa. I centralini esplodevano. Ma chi è Nani Roma? Purtroppo la giovane età e la sempre costante voglia di rovesciare il gas portarono Nani a dover abbandonare la gara. Ma non aveva importanza. Il mondo aveva appena conosciuto quel ragazzone simpatico, dedito alle moto come nessuno mai.

Ormai eravamo alla fine degli anni novanta dove la tecnica nelle moto andava a gonfie vele; KTM e Yamaha erano in costante attrito mentre BMW stava imparando. Il 1998 segnò il termine della carriera ufficiale del marchio dei tre diapason; infatti sarebbe stata l’ultima Dakar. Stephane Peterhansel, come sempre, era l’uomo da battere. Contro di lui un esercito di KTM tra cui anche Nani Roma. La navigazione in quell’edizione fu funesta e di vitale importanza. Nella quarta tappa un bivio ambiguo. Le tracce non erano sicure: un pò a destra, un pò a sinistra. Nani era combattuto. Dal nulla comparve Fabrizio Meoni che gli fece un cenno con la testa e aprì il gas sparendo in una nuvola di polvere. Andò a destra. Il giovane spagnolo lo seguì; il nulla intorno e soprattutto dietro di lui. Al termine della tappa scoprì che la strada era quella giusta staccando tutti di una mezzora abbondante. Anche stavolta però il sogno della Dakar svanì letteralmente in una nuvola di fumo. La sua KTM bialbero si ruppe e sconsolato si sedette vicino a lei; quasi come a parlarle, Nani passò gran parte della notte nel deserto attendendo il camion assistenza. Un inviato Eurosport gli chiese: “Hai avuto paura?”
Con un sorriso e gli occhi illuminati Nani rispose: “ E’ stata una delle notti più indimenticabili della mia vita.” Fece un sospiro e continuò. “Le stelle illuminavano il cielo come non avevo mai visto prima. Ho alzato il volume al massimo del silenzio che avevo intorno. Era surreale.”

L’anno successivo arrivò in un baleno. Giò Sala era li, come uomo jolly per KTM. Se Fabrizio Meoni e Nani Roma avessero avuto dei problemi, toccava a lui occuparsene. Il bergamasco ormai era conosciuto nell’ambiente: un personaggio italiano tutto cuore. Nelle speciali teneva d’occhio il giovane spagnolo che però combinò l’ennesimo disastro. Fermatosi ad aiutare Meoni, ripartì e scivolò in una stupida caduta. Al bivacco il dolore alla mano era fortissimo: al centro medico scoprì che si era fratturato un dito in otto punti. Anche la Dakar ’99 fu archiviata amaramente.

Il nuovo millennio per molti è voluto dire: “cambiamento“. Così è stato per Nani Roma che al termine della Dakar 2000, dove ha dovuto abbandonare a due tappe dalla fine in cui era in testa, decise di firmare con BMW, stanco della cattiva gestione tecnica di KTM che l’aveva portato a perdere quella benedetta 21^ edizione. La bavarese era pesante e ingombrante…impensabile vincere con quella moto! Infatti Nani all’alba del 2001 vinse un paio di tappe prima di rompersi un ginocchio. Come ben sappiamo la Dakar quell’anno fu vinta da Fabrizio Meoni. BMW decise di mollare la barca un anno prima e Nani era a piedi. Heinz Kinigardner gli offrì una moto, con la quale prese il via nel 2002. Fabrizio Meoni era inossidabile. Aveva in mano la nuova LC8 che si stava cucendo addosso. Tra i due ci fu una bagarre senza eguali: all’ottava tappa erano separati da secondi. Nani era davanti, ma da solo. Non capiva, c’era qualcosa che non andava. Invece che fare dietro-front proseguì. Si ritrovò in una mulattiera, impestata di arbusti. La moto scivolava e con se tempo prezioso. L’orologio ticchettava e Meoni era sempre più vicino. Nani alzò la testa e vide Fabrizio passare ad una velocità spropositata in una pista battuta ai piedi della mulattiera. Si dimenò come un cavallo impazzito fino a portare la moto nel piano. Ma la KTM non andava, come se fosse senza pilota. Si accasciò a terra, senza forze. Il dolore fisico era nullo ma quello mentale enorme.

Il 2003 fu da lasciare ai posteri. In Libia a centotrenta all’ora ci è mancato poco che Nani ci lasciò la pelle. Da qui le male lingue non si fecero attendere. Le stampe mondiali ormai lo davano per vinto. Non vinse in quel 2002 e per l’immaginario collettivo ormai era il pilota falloso di KTM senza titoli. Tutto il mondo però si dovette ricredere. Il 2004 fu l’anno di Nani. Meoni aveva problemi meccanici, Pujol cadde mentre Despres era troppo indietro per impensierire. Richard Sainct era l’unico che poteva strappargli via la corona. Ma non ci riuscì. Nani Roma, che da sette anni cercava in tutti i modi farcela, sospirò. Sulla spiaggia del Lago Rosa si voltò, sorridendo nel casco e capendo che finalmente lo scettro della Dakar era suo. Tempo di stappare lo spumante e si ritrovò al tavolo con gli uomini Mitsubishi. Nani Roma per il 2005 avrebbe guidato un Pajero.

Il debutto non fu affatto male. Il sesto posto fu meritatissimo, per quella prima volta sulle quattro ruote. Tuttavia il suo pensiero rimaneva soltanto uno: Fabrizio Meoni. Il suo vecchio compagno di squadra. Il suo amico. Non c’era più. Come ben sapete il 2007 fu l’ultimo anno della Dakar in Africa e cancellando l’edizione 2008, i piloti si spostarono tutti l’anno successivo in Sud America. Mitsubishi ormai era sugli ultimi. Portò la Racing Lancer schierando i suoi piloti di punta, ma quel motore diesel non ne voleva sapere. Problemi di surriscaldamento e altri di natura meccanica fecero fuori come mosche tutti i top driver. Vinse Giniel De-Villiers mentre il nostro Nani arrivò al 10° posto. Il colosso giapponese delle quattro ruote annunciò il ritiro, ma Roma non rimase senza volante. BMW lanciò nel 2007, insieme al team X-Raid, l’X3 CC. Insieme a Stephane Peterhansel e Guerlain Chicherit, Nani prese il via alla Dakar 2010 con un contratto biennale alla mano. Due ritiri in stecca per lui mentre le altre X3 arrancavano dietro agli inarrestabili Tuareg. Il programma X-Raid cambiò così direzione, sviluppando una nuova auto. La Mini All4 Racing. Quella cinque porte si adattò bene a Nani, il quale stampò subito un 2° posto nel 2012 e un 4° nel 2013. La volta buona per lui arrivò anche sulle quattro ruote. Il 2014 fu l’anno decisivo. X-Raid schierò quattro auto ufficiali. La sfida impazzò subito. Quell’anno la corsa partiva da Rosario, in Argentina mentre il traguardo era fissato in Cile, tredici lunghissime tappe dopo. Le condizioni erano ottimali, così come Nani. La gara fu scossa dalla morte del motociclista belga Eric Palante e di due giornalisti argentini. Nonostante la confusione, Roma ingaggiò una bagarre senza eguali con Stephane Peterhansel. Mr. Dakar è veloce. Velocissimo. Sembra imprendibile, con uno scarto al limite dell’irrisorio. Nani spinge a fondo, non vuole gettare quella Dakar. Non può permetterselo. L’obbiettivo era mantenere dietro di se quel francese indemoniato; poteva contare solo su due vittorie di tappa e così iniziò la difensiva. Solo la 9^ tappa andò a vantaggio di Peterhansel. Nani finalmente ce l’aveva fatta. Di nuovo. Solo cinque minuti di vantaggio sulla Mini del compagno di squadra.

L’anno successivo però non fu altrettanto fortunato; il 2015 segnò un mesto ritiro per Nani mentre concluse 6° nel 2016. L’anno successivo si staccò dal team X-Raid per mettersi al volante del Toyota Hilux Overdrive con il quale chiuse la Dakar al 4° posto seppur non vincendo neanche una tappa. La parentesi Toyota terminò soltanto dopo un anno e Nani ritornò al volante di Mini ritirandosi, ma alla chiusura “contrattuale” riuscì a strappare un secondo posto con il nuovo Mini John Cooper Works. Gli ultimi anni lo abbiamo visto al volante del Borgward, con il quale chiuse solo 27°: una vettura ben lontana dagli standard a cui era abituato. Come ben sapete poi Prodrive contattò Nani. Sebbene la vettura non sia delle migliori, gli consentì di ottenere un ottimo 5° posto nel 2021 mentre il 2022 a causa di un problema meccanico arrivò al traguardo 57°.

L’anno scorso poi un fulmine a ciel sereno. La notizia del cancro che lo affliggeva fece il giro del mondo.

“Non temete. Tornerò a correre il prima possibile.”

Nonostante la sua assenza alla Dakar 2023, Nani Roma ha ottenuto una vittoria ancora più grande. E’ riuscito a sconfiggere quel brutto male che lo affliggeva. Da bravo guerriero come è sempre stato.
Nani Roma ha la benzina nelle vene. Un cuore grande, così come l’amico Fabrizio Meoni.
Nani Roma è uno dei pilastri della Dakar.
Nani Roma è uno che il deserto lo conosce. Che l’ha vissuto, nella sua bellezza ma anche nella sua ombra più spaventosa.
Nani Roma non molla.

A Toda Velocidad, Nani!

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