foto di Aldo Franzosi

PROLOGO

Torniamo dopo tanto tempo, a scoprire quei marchi che hanno lasciato un segno all’interno dei Rally. Oggi ci concentreremo su una casa automobilistica d’oltralpe, che ha dato molto al nostro mondo così come a quello dell’automobilismo in generale: Citroen.
Ai giorni nostri, Citroen è ricordata per lo più per le gesta eseguite da Sebastièn Loeb, il quale è riuscito a portare per nove volte il marchio sul gradino più alto del podio. Parliamo quindi di un periodo discretamente recente, ma dobbiamo ricordare che Citroen ha radici ben più profonde nel mondo dei Rally: possiamo definirla forse come una delle pioniere di questo sport.

Dall’origine, come tante case automobilistiche odierne, Citroen ha iniziato il proprio “business” nel settore meccanico, ma non direttamente sulle auto. Andre Citroen nel 1900 acquisì un’azienda dal cognato; questa attività produceva ingranaggi con una particolare dentatura a cuspide. Non passò molto tempo, quando Andre decise di proseguire con l’attività. Grazie all’aiuto dell’amico Jacques Hinstin – che gli prestò una piccola officina – iniziò a lavorare con i vari ingranaggi acquisiti dalla conoscenza del cognato. Forte degli studi conseguiti al politecnico, Andre iniziò la sua rapida ascesa verso l’industria delle automobili. Nel primo decennio del ‘900, esisteva una casa automobilistica parigina, denominata Mors. Non navigava in buone acque, ma l’intervento di Andre fu decisivo. Iniziando con il proporre i propri prodotti da implementare nella costruzione di vetture, Monsieur Citroen portò innovazione anche in campo di gestione. Dopo un viaggio in America – dove Ford era già in piena attività – il futuro fondatore dell’omonima casa automobilistica, condivise ciò che aveva assimilato dal taylorismo e dalla produzione in catena di montaggio. La Mors facendo tesoro di queste informazioni si risollevò, riuscendo a moltiplicare il proprio guadagno e la produzione.

Il tempo però passava veloce e dopo poco ci si trovò nel primo Conflitto Mondiale. Andre Citroen passò un anno al fronte, per poi fare ritorno. Con l’ausilio del governo francese e di alcune banche, iniziò l’attività di produzione di granate. Quando il conflitto stava per giungere al termine, Andre aveva già in mente cosa fare e come tramutare quell’impero di granate che aveva creato. Era consapevole, grazie anche all’esperienza maturata alla Mors, che il fenomeno dell’automobile non sarebbe stato passeggero. Anzi: si stava allargando sempre più in tutta Europa. L’unico problema era il costo. Infatti le automobili erano destinate a persone con una discreta possibilità economica. Per questo motivo Andre Citroen decise di muoversi verso quella scelta: produrre automobili accessibili. Nel 1918 vediamo quindi la nascita della Citroen e nell’arco di neanche un anno vediamo sfornare la prima vettura: la Type A. La produzione però aveva dei costi. Costi che erano difficili da coprire. Sulla soglia della crisi, Lucien Rosengart – vecchio amico di Andre – fondò la SADIF, società finanziaria che salvò Citroen e le consentì di proseguire a pieno regime.

Da qui in avanti la famosa casa automobilistica iniziò a produrre modelli sempre più innovativi. Nel 1935 Andre Citroen si spense e le redini dell’azienda passarono in mano a Pierre Boulanger. Dalle “Crociere” fino alla struggente crisi economica che aveva messo in ginocchio l’azienda, si arrivò fino al secondo Conflitto Mondiale.

Le crociere erano un metodo utilizzato per far conoscere il marchio e le proprie vetture nel resto del mondo. Si percorrevano distanze lunghissime per diversi giorni, con mezzi che facevano la differenza, come il Citroen-Kegresse P17.

La produzione chiaramente rallentò bruscamente, dato anche dai contrasti tra Boulanger ed il regime nazista. La produzione fu sospesa del tutto nel 1943, a causa dei bombardamenti su Parigi. Ma niente era perduto; si pensava a come ultimare il progetto del TPV, rimasto incompleto a causa dello scoppio della guerra.

Terminato il secondo conflitto – il quale aveva lasciato segni ben più marcati rispetto al primo – si riprese con le attività. L’avvenimento più importante per Citroen si concretizzò nel 1948: nacque la celebre 2CV.
Dalla DS, nata dalla collaborazione/assorbimento della Panhard, fino alla SM nata dall’alleanza con Maserati, Citroen si ritrovò comunque in cattive acque negli anni settanta a causa dei repentini e azzardati investimenti. Sarà il gruppo PSA a salvarla, in cui conglobavano Peugeot – Opel – Vauxhall – DS Automobilies. La crisi petrolifera di fine ’70 colpì duro e PSA dovette liberarsi di Chrysler Europe, acquisita poco tempo prima.
Risanato il bilancio, si volò verso gli anni ’80 e ’90 dove vediamo tra la tante vetture prodotte, la piccola compatta AX o la più grande ZX, per poi passare alle piccole “bombette” degli anni ’90 come il Saxo VTS dove il pedigree rallysta era ben marcato.

Nonostante al momento non sia presente una vettura nella massima categoria dei rally, vediamo ancora molto spesso delle “vecchie” Saxo o delle più moderne DS3 e C3 cimentarsi nelle varie prove speciali della nostra penisola, così come nel mondo.

Andiamo quindi insieme alla scoperta di tutti i modelli, che sono stati trasformati in vetture da far saltare tra una curva e l’altra.

CITROEN DS21

photo by Citroen Archive

Entriamo a piedi pari nella seconda metà degli anni ’50, ma ci trasportiamo velocemente anche nei ’70. La Citroen DS è una di quelle vetture che riconosci, anche se non sai nulla di automobili. Come abbiamo potuto vedere nel prologo, lo “squalo” (così denominato volgarmente in Italia) nacque in un periodo non proprio roseo per la casa del “double chevron“. Nonostante i tempi, la vettura era all’avanguardia con il famosissimo sistema dinamico delle sospensioni. Tanto sofisticato, quanto costoso. Per questo motivo, Citroen decise di produrre parallelamente anche i modelli ID; ricalcando le linee della DS, si aveva un prodotto più economico, indirizzato ad un pubblico maggiore.
Ma è proprio dall’ID che parte tutta la storia dello “squalo da rally”. La vittoria al Monte-Carlo 1959, strappata dall’equipaggio francese “Coltelloni-Desrosiers” con una ID19, non passò inosservata a Citroen. Renè Cotton fu incaricato di creare la divisione sportiva. Si puntò quindi tutto sulla DS21, ma gli anni ’60 già impazzavano e i rally pullulavano di vetture molto competitive. Omologata per il Gruppo 2, la DS21 era mossa da un quattro cilindri in linea da 2,1L con all’attivo 109 cv, alimentati da un sistema a singolo carburatore Weber 28/36. Nel 1969 si cambiò carburatore, aumentando la potenza a 115cv e alzando l’asticella del regime a 5750 giri/min. Tutto questo però non era sufficiente; nemmeno l’iniezione elettronica Bosch utilizzata l’anno successivo, che alzò ulteriormente di quindici i cavalli. La grandezza della vettura e il passo lungo non le permettevano di danzare tra le curve come facevano Fulvia e Mini Cooper.

Qui subentrò il pilota Bob Neyret. Voleva darci un taglio. Letteralmente. Illustrò la sua idea ad un concessionario di Chambèry. Andrè Ricou accolse la sua idea ed iniziò a lavorare a quel bislacco progetto. Un telaio accorciato e una coda tronca; ecco cosa aveva in mente Neyret. Nel 1971 uscì alla scoperto quel prototipo, che avrebbe dovuto contrastare la concorrenza. 190cv all’attivo, sprigionati dal quattro cilindri in linea, alimentato da un sistema elettronico dell’iniezione Bosch D-Jetronic Multipoint.

L’anti-dive è letteralmente l’anti-affondamento. Sistema utilizzato anche in Formula 1, permette di evitare che la vettura si impunti durante la frenata, facendo perdere aderenza al posteriore.

Il sistema sospensivo rimase come da origine. Il complesso sistema idropneumatico, fu dotato di doppi bracci trasversali all’anteriore, per permettere così di usufruire dell’anti-dive.
Al posteriore invece, il sistema rimase pressoché invariato, con bracci longitudinali seguiti dall’unità idropneumatica. Il peso fu contenuto a 1250kg, ma la lunghezza della vettura rimaneva comunque importante: 4,8 metri.
Nel 1973 arrivò anche la DS23, che non si discostava molto dalla sorella, se non per la cubatura superiore del motore di 200cc.
Le vetture furono portate in prova speciale da Bob Neyret, che credeva fermamente nel progetto. Buoni piazzamenti nella top 5, ma mai sufficienti per primeggiare. Tra tutti, spicca la prestazione di Francisco Romaozinho che arrivò 3° in Portogallo.
La DS tuttavia non si limitò solo ai Rally. Nel 1980, tra i partenti della seconda Parigi-Dakar, si vide anche una DS21 portata in gara dai francesi Roncin e Bizet, per poi ripetersi l’anno successivo con una più evoluta DS23. La particolarità di queste, fu la decisione di renderle pick-up; infatti la parte posteriore fu tagliata per avere il vano di carico il più capiente possibile, per le parti di ricambio necessarie ad affrontare il difficoltoso deserto africano.

CITROEN CX

photo by CXclub.de

La Citroen CX arrivò in un periodo decisamente “nero” per la casa francese. Gli anni ’70 furono funesti. Investimenti azzardati e acquisizioni ambiziose avevano portato Citroen sull’orlo del precipizio. Aggiungiamo anche la famosa crisi petrolifera ed il gioco è fatto. Fortunatamente la situazione fu salvata, ma non solo. Anche migliorata. La DS e la ID erano ormai in servizio da molto tempo (il debutto è targato 1955) e quindi c’era la necessità di rimodernarsi. I primi schizzi risalgono al 1966, dalle mani sapienti di Pininfarina. Il problema nasceva tuttavia dal fronte tecnico. La DS andava mantenuta in vita, in quanto le vendite erano ancora buone e il modello sostitutivo non era pronto. L’acquisizione di Maserati, aveva messo in crisi le finanze e pertanto le soluzioni tardarono ad arrivare. Per questo motivo si puntò tutto sull’esclusività: cruscotto avveneristico, con questo volante mono razza e una strumentazione a “tamburo” che accompagnerà i modelli di lusso per molto tempo. Nel 1974 finalmente la CX prende vita. Il nome è sinonimo di ricerca nello stile esteriore. Infatti il coefficiente aerodinamico era molto basso, rispetto alla media dell’epoca. A livello tecnico però si dovette fare tutto in casa. Le motorizzazioni erano scarne: al lancio soltanto un 2L in ghisa da 109 cv montato antecedentemente sulla DS che a sua volta fu derivato dalla Traction Avant (parliamo quindi del 1934). La particolarità fu quella di dover inclinare il blocco di 30°, per poter mantenere la linea affusolata dell’anteriore. Per la prima volta, grazie all’alleanza con Fiat, si montò il motore trasversalmente cosa che la casa italiana faceva già da tempo. Per la trasmissione fu riciclato il cambio della Lancia Beta, che proprio in quegli anni divenne parte dell’alleanza. Nel frattempo di tentò un’evoluzione con la CX 2200, dove aumentarono i cavalli e fu il punto finale dove la DS venne definitivamente rimossa dal mercato. Siamo al 1976. Da qui iniziò una piccola carriera sportiva per l’aerodinamicissima ammiraglia Citroen. Partecipò al Rally Du Maroc stampando un 4° posto, in una configurazione chiaramente stock. Nello stesso anno, venne centrato un 4°-5°-6° posto al Rally Costa d’Avorio tra le vetture a due ruote motrici. La CX rientrava nel Gruppo 2 come la sorella DS. Infatti, come anticipato, le scelte tecniche erano pressochè gemelle. La svolta migliore per il modello si ebbe però alla fine degli anni ’70, con l’arrivo della CX 2400.

Quest’ultima diede una scossa al comparto tecnico, adottando nuove soluzioni alternative. Il motore da 2.4L venne alimentato da un sistema ad iniezione Bosch Jet L-Tronic portando la potenza così a 128cv. Questa configurazione era disponibile soltanto sulla CX 2400 GTi, che prese piede anche nelle competizioni. Infatti nel 1981 si mise al volante dell’ammiraglia francese niente poco di meno che Jacky Icks. Purtroppo non concluse la corsa, ma il tentativo non fu vano. Al Rally Londra-Sidney si piazzarono quattro vetture nei primi dieci, vincendo così anche il costruttori. L’attività rallystica però si limitò prettamente alla sola Francia, ma con ottimi risultato. Da segnalare il Rally Mistral ’79, dove si piazzò seconda assoluta e prima di Gruppo 2.

A metà degli anni ’80 arrivò anche la seconda serie di questa “berlinona”, ma ormai i tempi erano maturi per la sostituzione. Arrivarono le versioni Turbo e Turbo 2 che spingevano la vettura ad oltre 190km/h con una discreta potenza di 168 cv. I tempi però impazzavano nel mondo dei rally, con scelte tecniche fuori dal comune. Citroen non rimase indietro, ma non contrattaccò con la CX. Per lei, la parentesi corsaiola, si sarebbe limitata in patria con impegni non ufficiali.

CITROEN BX

photo by Girardo & Co.

Rimaniamo negli anni ’80. Un’era davvero interessante ed assurda per i rally, ma non solo. In questo decennio, sono state concepite alcune auto tecnicamente avanzate. La Citroen BX aveva tutto sommato questo fardello; si avevano auto come la CX e in passato la più anziana DS e SM. Lo stile della vettura fu lasciato agli italiani. Bertone si prese incarico il progetto “XB”, partorendo dalla sua matita quella che sarebbe stata una berlina da oltre due milioni di vendite. Si mantenne l’ideale dell’aerodinamicità, avendo così un corpo vettura con un coefficiente Cx di 0.34, mantenendo fede alla famosa caratteristica della sorella omonima. La BX era facilmente riconoscibile per le sue linee squadrate e i suoi fanali a “blocchi”, per non parlare della ruota a semi scomparsa (dettaglio presente solo in alcuni allestimenti della prima serie). Le motorizzazioni iniziali furono discretamente blande e derivate dalla nascita del gruppo PSA. Delle versioni 1.6L venne implementato anche l’allestimento GTi, ormai sinonimo di sportività per il marchio del “double-chevron”. Non fu questa però a prendere piede nelle competizioni ma bensì una versione che avrebbe fatto parlare di se, anche dopo la sua scomparsa.

L’avvento delle quattro ruote motrici, portò su un altro piano la BX. La scelta tecnica, fu atta anche a contrastare la scelta di inserirsi nel mondo dei rally, cercando di affermarsi. Il 1.9L non era sufficiente per imprimersi, dato che la concorrenza sfoderava potenze decisamente discrete.

Siamo al 1985.
Il Gruppo B è in fermento, con Audi che combatte contro Lancia, la quale sta completando la sua arma a trazione integrale. Per non parlare di Peugeot, Ford e MG. Per questo motivo nacque la famosa BX 4TC. Prodotta in soli duecento esemplari come le concorrenti, per poter ricevere l’omologazione nel Gruppo B. Anche in questo caso Citroen diede fondo alla scelta di far parte del gruppo PSA; infatti sotto il cofano della BX 4TC vediamo un motore Simca della famiglia Type 180 N9TE.

Il Type 180-N9TE è un’evoluzione del N9T. Il 2.1L sovralimentato venne dotato di intercooler, così da poter sviluppare ancora più cavalli, nonché ottima base per le corse.

Venne eseguita questa scelta tecnica per la famosa robustezza di questa serie di motori, dotata di una testata in alluminio a flussi incrociati, facilitando così la tenuta della testata stessa. La 4TC vantava 200cv per la versione stradale, ma chiaramente la sua sorella da corsa ne ostentava molti di più. Parliamo di 380 cv, con una pressione del turbo Garrett T3 di 1,3 bar. Tempo dopo, in una delle sue evoluzioni, si adottò un turbocompressore KKK K26 di cui si vocifera che la potenza sia stata portata ad un picco di 420cv; questa informazione tuttavia non è mai stata confermata. L’alimentazione venne regolata da un sistema d’iniezione Bosch K-Jetronic, con l’apertura valvole dettata dal doppio albero a camme in testa (DOHC). La trasmissione a quattro ruote motrici, vantava un differenziale a slittamento limitato sull’anteriore e sul posteriore, con possibilità di bloccaggio per quest’ultimo. La “svista” di non utilizzare un differenziale centrale, comportò uno sforzo notevole da parte dei tecnici, per rendere gestibile la vettura soprattutto su asfalto. Per questo motivo fu adottato il DIRAVI.

Il DIRAVI è un servosterzo ipersensibile ad assistenza variabile, installato originariamente sulla CX.

Il sistema d’ammortizzazione è tipico Citroen; venne mantenuto il sistema idropneumatico abbinato a doppi bracci trasversali e un braccio trasversale inferiore “A” per consentire l’applicazione dell’Anti-Dive. Per concludere il comparto tecnico, la 4TC era stata dotata di quattro freni a disco autoventilati da 280mm mentre il cambio era di derivazione SM con cinque rapporti.

Il progetto, sin dagli albori, non è mai stato semplice. Anzi, non era partito bene per nulla. Prima della produzione della vettura, vennero prodotti ben quattro prototipi, di cui solo l’ultimo prese vita. Inizialmente il primo prototipo fu costruito da Strakit, ma la sottoveste non piacque a Guy Verrier poiché fu utilizzata la trazione anteriore. Michel Mokrycky si presentò al capo team con una BX a quattro ruote motrici, con motore turbo da 2.1L. Inizialmente si provò a puntare sulla “BX 4×4 Strakit” dove l’evoluzione, aveva portato la vettura ad avere 325cv e un motore da 2.4L. Nel 1983 si comportò egregiamente, ma forti problemi di surriscaldamento portarono a rivedere completamente il progetto. Come abbiamo visto si lavorò per cui sull’idea di Mokrycky, ma il mancato successo della BX 4TC ha radici più profonde.

Partendo dal peso, elevato per lo standard dell’epoca e per competere con le dirette avversarie. Inoltre le altre case automobilistiche studiavano a puntino le soluzioni e le dotazioni da utilizzare sulle vetture, mentre Citroen aveva abbozzato una serie di componenti già prodotti e di condivisione con PSA. Queste due motivazioni furono sufficienti per impedire all’arma Gruppo B di casa Citroen di potersi imprimere.

Jean-Claude Andruet e Philippe Wanbergue ci provarono. Guasti meccanici e uscite di strada non portarono nulla. Nemmeno la pausa per trovare un’evoluzione e ripresentarsi all’Acropolis servì. Gli altri arrivavano con telai spaziali, motori centrali e agilità da vendere. Dopo quest’ultimo epilogo, Citroen si ritirò immediatamente dal Gruppo B. Solo 86 versioni stradali vennero vendute, mentre le restanti vennero distrutte. Si dice che Citroen, umiliata, decise di iniziare a smantellare le 4TC Evo, ma alcune erano già state acquistate per correre nei rallycross. I risultati non furono male, ma la delusione per il marchio del “double-chevron” era talmente forte che fece pressione per far sì che alla fine del 1989, le vetture rimaste si ritirassero.

CITROEN VISA

photo by Trutmann

Facciamo un piccolo passo indietro. Ci troviamo alla fine degli anni ’60, con precisione nel 1967. La casa francese aveva necessità di svecchiarsi, dato che l’ultimo modello presentato aveva ben sei anni. Serviva qualcosa per completare la gamma, di cui forte delle ammiraglie di alta e media fascia.

PARDEVI era il nome dell’associazione temporanea d’impresa stipulata tra Fiat e Citroen. Come vedremo successivamente non si rivelò fruttuosa.

Grazie alla PARDEVI, Citroen poté contare sul pianale disegnato da Fiat, per il progetto 127. Tuttavia quest’ultimo era in fase di sviluppo e non sarebbe stato pronto a breve. Robert Opron, direttore del centro stile, decise di avviare il progetto EN101. Concettualmente era l’idealizzazione di una piccola monovolume con principi stilistici che avrebbero ricalcato le generazioni future. Proprio per questo fu abbandonato quasi immediatamente per lasciare spazio al Progetto RA. Vennero immagazzinate buone idee dal precedente progetto e ci si concentrò a lavorare nell’adattamento del pianale Fiat 127, che nel mentre venne maturo. Non si riuscì però a far combaciare uniformemente linee e pianale così nel 1973 si decise di sciogliere la joint-venture con l’azienda italiana.

Di nuovo da punto a capo.

Si ripartì con il Progetto Y, con nuovo pianale dedicato. Nel mentre però gli anni ’70 bussavano alla tecnica e come abbiamo visto nelle pagine precedenti, le scelte della casa del “double-chevron” portarono l’azienda sul baratro. Ci si mise anche la scarsa commercializzazione della seppur valide ma screditata SM. Il gruppo Peugeot, corso in salvataggio dei connazionali, puntualizzò che il nuovo progetto della piccola Citroen avrebbe dovuto indossare un pianale Peugeot. Progetto Y fu cestinato e aperto il Progetto VD che si rivelò quello definitivo. Pianale della Peugeot 104 e motorizzazioni dell’azienda di Sochaux. Tuttavia nella gamma venne implementato un motore di derivazione 2CV. Le difficoltà non erano finite; si dovette riprogettare tutto il sistema ciclistico della parte anteriore, in quanto i motori Peugeot erano montati trasversalmente. Al termine di queste mille peripezie e disavventure, la Visa vide la luce al termine del 1978.
La piccola francese, stava iniziando a sua insaputa, una tradizione che sarebbe stata portata avanti nel tempo. Furono presentate tre diverse versioni, “sportiveggianti“.
La prima fu la Chrono nel 1982; versione destinata al solo mercato francese con un 1.4L da 93cv in condivisione con la Peugeot 104 ZS2. Nella metà dello stesso anno venne presentata la GT – da cui verrà derivata poi la GTi, l’unica ad adottare l’iniezione elettronica – e per finire la più rara di tutte: la 1000 Pistes.

Ma andiamo con ordine.

Molti di noi conoscono il Gruppo B grazie ai mostri sacri che hanno solcato le prove speciali del mondo. Ci troviamo precisamente nel Gruppo B/12. In realtà quest’ultimo era solo una piccolissima parte di quello che è stata la “Golden Era” dei rally. I gruppi minori, che avevano specifiche più esigue, pullulavano di vetture. Era il caso della Citroen, che cercò di farsi strada in questo ambito. La prima Visa che vide la bandiera del palco partenza fu la Trophee.

Il XZ5X era un motore nato dalla joit-venture tra Peugeot e Renault. Era denominato anche “motore a valigia”, in quanto la trasmissione era montata a lato rispetto al blocco motore. La lettera “X” stava a indicare la presenza di due carburatori.

Volendola vedere nelle strade di tutti i giorni, era un binomio tra la Super X e la Chrono. Era spinta dal piccolo 1219cc XZ5X di origine Peugeot, con all’attivo una potenza di 115cv. Distribuzione a catena, aste e bilancieri per poi completare il tutto con un singolo albero a camme in testa (SOHC) per “comandare” le otto valvole presenti. L’alimentazione era regolata da due carburatori Weber da 40mm; particolarità che rimarrà nelle Visa da rally. All’anteriore venne implementato il sistema MacPherson (senza alternative, in quanto il pianale della 104 era stato studiato appositamente per questo) con un braccio trasversale inferiore e una coppia di ammortizzatori telescopici a gas. Al posteriore invece vennero utilizzati dei semplici bracci longitudinali, con gli stessi ammortizzatori dell’anteriore. Il sistema frenante inizialmente fu dotato di dischi all’anteriore mentre nel retrotreno furono inseriti dei tamburi. L’evoluzione di poco tempo dopo implementò i dischi anche al posteriore e una nuova pinza a quattro pistoncini sul davanti. Il quadretto era completato da un peso piuma di 750kg.
All’inizio del 1983 venne omologata anche la Visa GT, per competere nel Gruppo A. A livello tecnico la differenza non era sostanziale, se non per il motore. Stessa famiglia della sorella, ma da 1.3L e doppio carburatore Solex da 35mm invece del Weber da 40mm. La vettura passò quasi inosservata, con un’attività che stenta ad arrivare al biennio.

Il 1984 invece si diede vita alla Visa “definitiva“. Solo duecento esemplari (come da tradizione per l’omologazione Gruppo B) e cosa più importante la trazione integrale. Le scelte tecniche portarono la Visa 1000 Pistes a doversi iscrivere al Gruppo B/10. Sotto il cofano batteva sempre un cuore Peugeot in collaborazione con Renault: la famiglia di motori XYR. La cilindrata era di 1.4L, alimentata da doppio carburatore a doppio corpo Weber da 45mm. In questo modo, la potenza raggiunta fu di 145cv per un peso contenuto di 850kg. A livello ciclistico, la vettura non subì grandi variazioni rispetto la Thropee. L’unico appunto, era l’aggiunta di bracci trasversali e barra antirollio sul posteriore.

Vista così, pare che l’ascesa della Visa nei rally sia stata semplice, ma in realtà così come per il modello stradale le difficoltà si son fatte sentire. Dal canto suo Guy Verrier (al vertice dell’allora squadra ufficiale Citroén Competition) era molto esigente, pressato anche dalle linee guida imposte da Citroen stessa. I prototipi presentati a Verrier furono ben dieci. Tra i più popolari, la Visa Lotus. Una “bombetta” con motore centrale da 210cv, turbocompresso preso in prestito dalla Lotus Esprit. Di quella Visa rimase poco di Citroén; soltanto il cambio SM e la vaga interpretazione della carrozzeria stravolta da Colin Chapman. Il progetto fu accantonato ancora sul nascere, in quanto il peso di 1020kg era troppo per Verrier.
Altro prototipo particolare fu prodotto da Laurent Brozzi. La vettura fu dotata di due motori: uno sull’anteriore mentre l’altro posizionato al centro. 180cv scaricati a terra dalle quattro ruote motrici e un peso incredibilmente ridotto di 900kg nonostante i due motori, diede la possibilità a Laurent Brozzi di presentare la sua vettura al Rally 1000 Pistes 1983. Il progetto però fu accantonato, in quanto il livello di manutenzione e la possibilità di guasti erano molto elevati. Curioso il fatto che, in quegli anni, anche Volkswagen stava lavorando ad un progetto simile ma che non prese piede.
Guy Verrier, alla fine scelse il progetto Visa M. Quello meno appariscente e apparentemente meno competitivo. Tuttavia al Rally 1000 Pistes 1983, la Citroen Visa guidata da Philippe Wanbergue riuscì a vincere la corsa, lasciandosi alle spalle la Peugoet 205 Turbo 16. Il successo fu dovuto non alla potenza, che era esiguamente di 160cv ma bensì dal peso piuma; 700kg a secco nonostante la trazione integrale. Grazie a questo successo deriva il nome della vettura.
La Visa 1000 Pistes ha goduto di buoni risultati, grazie a piloti come Jean-Claude Andruet, Philippe Wanbergue e Christian Dorche. Quest’ultimo si assicurò un secondo posto di classe nel Montecarlo ’84 con un tredicesimo posto assoluto. Anche in Portogallo la vettura brillò, con un nono posto assoluto.

CITROEN AX

Photo by Girardo & Co.

L’importanza delle “piccole” non era ben radicata ancora nella tradizione Citroen, ma il mercato imponeva di avere delle utilitarie di basso costo e di semplice produzione. Era stata già prodotta la Visa, che tuttavia non creava un buon contento all’interno dell’azienda. Consapevoli delle scelte tecniche ancora di vecchio stampo per contenere i costi, si decise di dar vita al Progetto S9. Siamo al 1981. Gli anni ’80 hanno portato concept molto futuristici, in vista del nuovo millennio. Fece così anche Citroen, che iniziò ad uscire con la serie Eco 2000. Caratterizzati tutti da un bassissimo Cx, ingombri esterni ridotti ma un’ottima ottimizzazione degli spazi interni. Il tutto sommato da peso ridotto e motori efficienti di nuova generazione. L’idealizzazione di questi prototipi portò Citroen sulla buona strada, fronteggiando un mercato sempre più ricco. Vennero abbandonati completamente i vecchi motori, per lasciare spazio alla nuova Serie TU, derivata dall’antecedente Serie X di produzione Peugeot. La particolarità della AX fu il peso: 100kg in meno rispetto alla concorrenza. Risparmiare peso su vetture di fascia bassa non era semplice, in quanto i costi andavano contenuti e non era possibile utilizzare materiali costosi come l’alluminio. Anche il pianale fu costruito e progettato da zero, cosa che permise alla AX di essere molto maneggevole e avere un’ottima tenuta di strada. Infatti il pianale sarà riproposto in altri modelli, che vedremo più avanti.

Essendo una piccola utilitaria si pensava dovesse sostituire la Visa, ma così non fu. La carrozzeria cinque porte di quest’ultima la collocava nella fascia più alta dove la AX non poteva competere. Per questo motivo entrambe vennero mantenute in produzione. Di rilievo, nella gamma, fu l’avvento della AX GTi; 95cv e 798kg di peso. Da qui si partì come base per la vettura da rally.

Temporalmente parlando siamo verso la fine degli anni ’80. Nel 1989 arrivò Citroen Sport (conosciuta poi come Citroen Racing), squadra ufficiale per le competizioni. Ma la sua storia…è tutt’altra storia.
La piccola utilitaria non ha avuto una storia gloriosa come vettura da rally, ma ha avuto comunque specifiche degne per infastidire anche i colossi più imponenti. Omologata nel 1988, la AX Gruppo A entrò nella fascia minore di quest’ultimo grazie alla piccola cilindrata. Strategicamente non venne utilizzato il 1.4L della GTi, ma bensì il TU2A da 1294cc. La potenza sviluppata era di 127cv, portata poi a 130cv aumentando il rapporto di compressione da 11.3 a 12.0. Il singolo albero a camme in testa garantiva l’apertura e chiusura delle otto valvole presenti mentre l’alimentazione era affidata a due carburatori Weber da 40mm. Per il sistema sospensivo non si abbandonò il MacPherson all’anteriore, con braccio inferiore a “L”, barra antirollio e coppia di ammortizzatori a gas. Al posteriore invece vennero utilizzate delle barre di torsione, accoppiate ad un braccio longitudinale e barre antirollio con ammortizzatori a gas. Il peso di 815kg doveva essere arrestato inizialmente da freni a disco anteriori e tamburi posteriori. L’evoluzione successiva implementò i dischi anche al posteriore, aumentando anche la grandezza della pinza anteriore la quale alloggiava quattro pistoncini.

Citroen Competition schierò inizialmente con impegno ufficiale quattro vetture, guidate da Maurice Chomat, Laurent Poggi, Dany Montagne e Denise Jacques. Questo solo per il 1988, per poi ritornare in modo ufficiale dal 1990 al 1992. I risultati si ebbero solo per la prima annata, dove principalmente la categoria era popolata dalle piccole Citroen. Successivamente con l’arrivo della Peugeot 205 Rallye il fenomeno AX scomparve.

CITROEN ZX

photo by Girardo & Co.

Probabilmente uno degli acronimi della casa francese che risuona nella mente degli appassionati ancora oggi. La ZX è andata “sotto i ferri” già dal 1986. Il progetto N2 (fu così denominato) prese vita per la necessità di dover aggiornare nuovamente il parco auto. Come abbiamo visto in precedenza, la AX non prese il posto della Visa. Quest’ultima però aveva soluzioni tecniche di vecchio stampo, soprattutto dovute ai problemi finanziari dell’epoca e alla mal gestione iniziale del progetto. Con il progetto N2 si coinvolse anche la vena artistica italiana. Infatti per il nuovo design non fu interpellato il solo centro stile, ma anche il famoso Bertone. Il noto disegnatore italiano propose inizialmente una soluzione molto spigolosa, che fu scartata immediatamente, ma andò poi a ispirare la produzione dell’ammiraglia XM. Vennero così implementate modifiche a livello estetico fino a raggiungere bozzetti quasi definitivi. Le motorizzazioni chiaramente giungevano dalla collaborazione nata con PSA. Come visto già menzionati in precedenza, si puntò ancora sulla famiglia di motori XU e TU. Le motorizzazioni “pepate” furono due: inizialmente un 1.9L e successivamente un 2.0 16V. La ZX ebbe una presentazione differente. Infatti la vettura venne presentata ufficialmente nel 1991, ma era già in attività dal 1990. Ebbe si, per dimostrare la robustezza della vettura, Citroen fece debuttare la ZX al Baja Aragon 1990 con al volante niente poco di meno che Ari Vatanen e Jacky Icks. Il successo fu immediato, occupando il primo e secondo posto nella gara spagnola. Nonostante però il successo iniziale, la ZX fu criticata immediatamente per il suo design anonimo, visti i trascorsi di stravaganza proposti dalla casa del “double-chevron”. A livello commerciale non ebbe molto successo, ma non si può dire lo stesso a livello sportivo. La ZX diventò celebre per le gare nel deserto, soprattutto con la Dakar. Riconoscibile per la sua livrea Camel gialla, la prima versione fece man bassa di vittorie nel 1991 con Ari Vatanen. L’anno successivo Pierre Lartigue iniziò a fare la voce grossa, vincendo la Parigi – Mosca – Pechino e il Rally di Tunisia. La Dakar tuttavia non era entrata ancora nel suo palmarés. Il 1992 fu vinto dalle Mitsubishi. L’evoluzione della ZX non si fece attendere e centrò l’obbiettivo; la vettura si dimostrò subito competitiva, con un secondo e terzo posto alla Parigi – Dakar 1993. Ma le Mitsubishi erano ancora davanti. Il 1994 fu la resa dei conti; Pierre Lartigue con in mano la terza evoluzione della vettura vinse la Parigi – Dakar siglando così la prima delle tre successive e consecutive vittorie nella gara più dura del mondo. Nel 1997 il programma Citroen Rally Raid terminò, ma lasciò il campo di gara vittorioso coronando il quinto titolo mondiale Rally Raid.

Tutto questo fu possibile alle scelte tecniche adottate da Citroen Sport. La ZX Rally Raid infatti vantava prestazioni di tutto rispetto. Il motore PSA XU15 da 2.5L fu posizionato al centro in disposizione trasversale. La potenza era di 300cv, portati a 330cv con l’Evoluzione della vettura; tale potenza è stata possibile grazie all’adozione di un turbocompressore Garett. L’alimentazione era regolata da un sistema d’iniezione elettronica della Magneti Marelli. La trasmissione della vettura era da sette rapporti manuali, con all’attivo due differenziali ed uno centrale a slittamento limitato di tipo Ferguson.
Il differenziale Ferguson, o meglio conosciuto a giunto viscoso, è molto utilizzato nei differenziali centrali delle vetture 4wd. La differenza di rotazione delle due ruote, fa si che il liquido siliconico all’interno si scaldi, diminuendo la sua viscosità e portando così ad un effettivo bloccaggio del differenziale.
Il sistema sospensivo era dotato di due ammortizzatori per ruota; una soluzione tecnica d’obbligo per essere competitivi. Infine, la scocca realizzata in kevlar e carbonio fecero si che il peso contenuto lanciasse la vettura fino a 205 km/h.
Ma attenzione, la ZX ha solcato anche le prove speciali dei rally. Infatti troviamo una versione Kit Car ed una Gruppo A. Non ebbero molto successo, ma le specifiche tecniche erano di tutto rispetto. La prima vantava 255cv (anche se la concorrenza con le varie evoluzioni ha raggiunto i 280cv, ma vedremo più avanti come Citroen riuscì a contrastare ciò) con aspirazione naturale e iniezione elettronica multipoint Magneti Marelli. Come da tradizione la potenza massima si aveva a 9000 giri/min. con il classico “urlo” riconoscibile a distanza. Il blocco motore naturalmente era di derivazione PSA, 1998cc della serie XU10 con un rapporto di compressione discretamente alto, ovvero 12:1. Il sistema sospensivo adottato era di tipo McPherson all’anteriore mentre al posteriore si era adottato un sistema sterzante passivo. La versione Gruppo A condivideva le medesime scelte tecniche, ma con una potenza ridotta a 210cv e un sistema d’iniezione Bosch a discapito dell’italiano Magneti-Marelli. A livello sportivo Jesùs Puras portò nelle speciali spagnole la versione Kit-Car, riuscendo a vincere il Campionato Spagnolo nelle annate 1995 e 1997.

Citroen Xsara – C4

photo by Citroen Archive

Iniziamo ad addentrarci in zone più “recenti”, con una vettura che ha lasciato sicuramente un segno indelebile nell’attività sportiva. La Xsara è entrata a piedi pari nel 1997 andando a sostituire l’incompresa ZX. Il lavoro svolto dal centro stile andò sul sicuro, prendendo spunto dalla linea della Xantia. Le linee sinuose e il frontale sottile piacque sin da subito. Le scelte tecniche non furono difficoltose, in quanto si sfruttò a pieno la meccanica della sorella maggiore, le quali erano di tutto rispetto. Le motorizzazioni adottate furono derivate in toto dalla Peugeot 306; nelle prime battute non ci furono modelli sportivi. Con l’arrivo del restyling tuttavia venne introdotto un 2.0L 16V da 167cv che accompagnava la versione VTS. Quest’ultima sigla prenderà per mano i modelli pepati di Citroen per diverso tempo. A livello sportivo questa vettura avanzò la mossa finale per vincere la partita. Agli esordi l’auto venne presentata e omologata in versione Kit-Car. Come nella sua versione stradale, anche nelle competizioni la meccanica fu condivisa con la ZX, ma vennero affinate delle specifiche che resero molto competitiva la vettura. Philippe Bugalski fu uno di questi, facendo incetta di vittorie in Francia così come nel Mondiale. Anche Jesus Puras, che continuò la sua serie di vittorie in Spagna, iniziate con la ZX. Naturalmente il passo più grande che fece Citroen – nonché vincente – è stato l’arrivo della nuova Xsara WRC. Con l’impegno costante e ufficiale della stessa casa madre, così come l’appoggio di uno sponsor importante come Total, venne sviluppata una vettura che vinse anche ciò che non si poteva vincere. Le prime immagini della vettura si ebbero nel primo semestre del 2000. C’è da precisare che le prime WRC erano delle T4 (medesimo modello della Kit Car); purtroppo l’affidabilità non era il loro forte. Nonostante una selezione di gare dove mettere alla prova le vetture, i guai meccanici hanno portato Guy Fréquelin a fare sul serio. Nel 2001 venne presentata la Xsara WRC II, riconoscibile per il restyling dell’anteriore. Le scelte tecniche furono dettate dalla voglia di vincere e di produrre una vettura specifica per il Mondiale Rally. Per questo motivo la collaborazione con Peugeot fu quasi nulla. Ci si poteva aspettare che fosse l’indiretta sorella della 206, ma non fu così. Chiaramente alcuni aspetti erano in condivisione, in quanto il gruppo PSA imponeva delle soluzioni che dovevano essere rispettate. La Xsara WRC II veniva spinta dal 2.0L XU7JP4 da 1993cc; da specificare che la sorellastra francese montava la serie di motori XU9. Il motore fu montato trasversalmente ed inclinato di trenta gradi, sviluppando una potenza di 300cv grazie anche al turbocompressore Garrett TR30R. La coppia massima si ebbe a “soli” 2750 giri/min. mentre la potenza a 5500 giri/min. che tradotto, si poté contare su un’ottima gestione della vettura nei settori misto-stretti. Come la maggior parte dei motori della famiglia XU, si adottò un doppio albero a camme in testa (DOHC), mentre l’iniezione era regolata elettronicamente da un sistema Magneti Marelli così come l’aspirazione con un sistema MR3, prodotto sempre dall’azienda italiana. Il sistema sospensivo era di tipo MacPherson sia all’anteriore sia al posteriore, con ammortizzatori a gas telescopici e barre antirollio regolabili. Rimanendo sempre in tema trazione e trasmissione, erano presenti tre differenziali con ripartizione 50-50 e controllo attivo. Dal 2004 si ebbe la prima evoluzione, con l’aumento della cilindrata grazie all’incremento dell’alesaggio e della corsa. 1998 erano i nuovi centimetri cubici riuscendo così ad aumentare la potenza fino a 315cv, così come la coppia massima che passò da 530Nm a 569Nm. Nel 2006, gli ultimi colpi di coda della Xsara, venne implementato un differenziale a slittamento limitato sia all’anteriore sia al posteriore. Come sappiamo, l’attività della vettura terminò lo stesso anno per lasciare spazio alla sorella C4.

photo by Girardo & Co.

Quest’ultima iniziò l’attività l’anno successivo. Nonostante la linea esterna completamente differente, sotto la carrozzeria le vetture erano pressoché identiche, tranne che per alcune modifiche. Venne implementato un sistema variabile di apertura valvole (VVT-i) e un nuovo sistema di iniezione elettronica Magneti Marelli ECB11. La sua attività terminò, per forza maggiore, nel 2010 quando il regolamento cambiò per dare spazio alle WRC 1600. Queste due vetture sono diventate di diritto un’icona del Mondiale Rally grazie alle innumerevoli vittorie di Sebastién Loeb; con il marchio connazionale è riuscito a firmare ben nove mondiali piloti.

Citroen Saxo – C2

photo by DNI

Torniamo a valicare nuovamente la soglia delle “piccole”, con un’auto che ha tracciato un segno ben marcato tra i giovani alla fine degli anni novanta. La Saxo nacque in un periodo in cui l’attività rallystica di Citroen stava decollando. Dopo i grandi successi della ZX, la casa francese non era intenzionata a fermarsi. Dal fronte delle utilitarie ormai serviva una ventata d’aria fresca in quanto l’AX era in commercio da diverso tempo. Per questo motivo si mise in piedi il progetto S8 nel 1995, dove lo stesso anno vennero presentati i primi bozzetti quasi definitivi ed a distanza di un anno la vettura sarebbe stata presentata al pubblico al Salone di Ginevra. La filosofia era quella di contenere i costi; per questo motivo il pianale era derivato dalla AX, che condivideva a sua volta con la Peugeot 106 e che in origine era installato sulla Peugeot 205. Subito al lancio la Saxo fu presentata con la possibilità di avere una versione sportiva: la VTS. Insieme al 106 Rally era la coppia vincente tra le strade degli appassionati di rally. A livello sportivo la vettura doveva coprire un segmento piuttosto importante: le Kit-Car. Ai più attenti potrebbe sorgere il dubbio: ma in quel periodo non c’era la ZX e poi la Xsara? Esattamente, non vi sbagliate. Ma la Saxo fu omologata per il gruppo K10, ovvero vetture Kit-Car con cilindrata fino a 1600cc. Il motore era della famiglia TU, in particolare il TU5; il più performante della famiglia. Si differenziava principalmente per il basamento in ghisa e non in lega leggera. Poco tempo dopo, con la presentazione del restyling, venne eseguita una nuova omologazione. La Saxo entrò nelle S1600. Sotto le nuove vesti la vettura era molto simile alla versione precedente, ma chiaramente con qualche accortezza in più; il rapporto di compressione fu portato a 12.0:1 e con i restrittori d’aspirazione (come da regolamento) la vettura forniva 220 cavalli sulle ruote anteriori. Il peso di soli 950kg e il passo corto, rendevano la Saxo molto competitiva. Il comparto sospensivo era ormai ben strutturato e collaudato. Infatti si poteva contare su un sistema MacPherson all’anteriore mentre al posteriore si avevano i classici bracci longitudinali con barre antirollio. Questa piccola francese ha fatto da trampolino di lancio per piloti importanti. Sebastién Loeb ha mosso i suoi primi passi mondiali, così come Philippe Bugalsky ha macinato chilometri prima di passare alla Xsara. Come sappiamo il tempo passa veloce così anche per le corse.

photo by Motori360.it

Nel 2004 venne presentata la Citroen C2 S1600, diretta erede della Saxo. Con quest’ultima affermazione, la si può estendere anche al comparto tecnico; con un rapporto di compressione nuovamente abbassato a 11.0:1, ma una cilindrata aumentata da 1587cc a 1593cc del TU5, venne migliorata l’affidabilità e aggiunti cinque cavalli così da avere 225cv totali. Se però venne aumentata la potenza anche il peso lievitò. Cinquanta erano i chilogrammi aggiunti, per un peso totale di 1000kg. Venne equipaggiata di un cambio sequenziale a sei rapporti mentre il sistema d’iniezione era Magneti Marelli. Anche con questa piccoletta vediamo nomi di un certo spessore, come Kris Meeke, Dani Sordo e anche il nostro Andrea Dallavilla. Poi ancora Martin Prokop e non da meno Sebastién Ogier con il team FFSA Equipe de France.

Citroen DS3 – C3

photo by AlVolante.it

Siamo giunti ormai al termine del nostro percorso. Parliamo quindi della DS3, l’utilitaria che ha preso le redini del World Rally Championship all’avvento delle WRC 1600. Siamo quindi nel 2011, che tra ridere e scherzare sono già passati tredici anni. La DS3 prendeva un’eredità importante a livello sportivo: la Xsara, così come la sorella più grande C4, avevano fatto incetta di vittorie, soprattutto con Sebastién Loeb. Citroén Sport quindi aveva una grossa pressione sulle spalle e non dovevano deludere le aspettative. Ci riuscirono i maniera brillante. Debuttò in Svezia, ma andò alla vittoria al Messico per poi proseguire con una battaglia infuocata Loeb – Ogier, dove il primo ebbe la meglio alla fine dell’anno. La vettura era completamente nuova con tecniche all’avanguardia, partendo proprio dal motore. Della famiglia EP6, il nuovo motore Prince PSA, forniva una potenza di 300cv con una coppia massima a 3250 giri/min. Doppio albero a camme in testa (DOHC), con quest’ultima in lega d’alluminio così come il monoblocco.

Il motore EP6CDTS equipaggiato nacque dalla collaborazione di PSA con BMW. Il sistema di fasatura e alzata valvole variabile – Valvetronic – infatti è nato dalla collaborazione dei due colossi. In particolare, nella versione turbocompressa, la testata era presso-fusa.

Si adottò il sistema di fasatura variabile (VVT), in questo caso conosciuto come Valvetronic. In abbinata a tale sistema venne adottato un turbo compressore Twin Scroll e l’iniezione diretta. Detto volgarmente, il Twin Scroll sfrutta due flussi combinati da due coppie di cilindri. In questo modo, con due differenti canalizzazioni, si riesce a minimizzare il turbo-lag, abbassare la temperatura nei cilindri e avere un miglior rendimento.

A livello ciclistico, venne utilizzato lo schema MacPherson e abbinato il tutto con ammortizzatori regolabili in ogni forma; estensione, compressione e precarico.
La carriera della DS3 ebbe fine nel 2016, quando si annunciò che a partire dall’anno successivo sarebbero state introdotte le WRC Plus. Per questo motivo Citroen sviluppo con Kris Meeke, la C3 Plus. Come da regolamento la vettura venne equipaggiata con 380cv e appendici aerodinamiche consone. Il marchio francese, forte dell’esperienza nel Turismo e WRC, si impegnò a fondo. Gli sforzi purtroppo non furono sufficienti e l’era Citroen nella massima categoria si è chiusa nel 2019.

Al momento l’impegno del “double-chevron” è ancora presente nella classe WRC2. Sicuramente un impegno che ha dato tanto spettacolo, fatto crescere campioni indiscussi e scritto pagine importati nella storia del WRC.

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