In questi tempi di fermo-corsa, abbiamo pensato di aprire una nuova rubrica: Personaggi di Raid. E’ un modo anche per approfondire la storia di quei pionieri che hanno solcato le onde del deserto, lasciando alla storia pagine emozionanti di gara. Come sapete i Rally Raid sono sempre state quelle gare in cui chi partecipava, sapeva che non sarebbe stata per niente facile; ma come disse una volta Kari Tiainen (campione di enduro ndr) “Se un giorno dovessi rifarlo fermatemi, bloccate tutto. Ma tanto farò di tutto per tornare.”

Queste corse sono così: mentre la corri ti chiedi cos’hai fatto di male per meritarti tutto questo, ma la voglia di ripartire alla fine di due estenuanti settimane è moltissima. E’ sempre stato così per Hiroshi Masuoka. Il giapponese, nato il 13 marzo del 1960, aveva già l’impronta da veterano del deserto. Dopo una prima parentesi tra i rally, all’età di ventisette anni decise di intraprendere una nuova avventura: la Parigi-Dakar. Già dall’inizio, le mani del “guru” posarono su un volante al cui centro spiccava scintillante l’emblema Mitsubishi. I primi tempi furono difficili, come per tutti d’altronde. Non si poteva pensare di essere competitivi già da subito, segnando un 29° posto il primo anno, un ritiro l’anno successivo e la mancata partecipazione nel 1989. Con il nuovo decennio però Masuoka si rifece: staccò un degno 10° posto proprio nel 1990, quando impazzava il dominio Citroen/Peugeot. I tre anni successivi furono comunque difficili, completi di incidenti e problemi meccanici vari che fecero scivolare Hiroshi indietro. Ma la svolta principale arrivò nel 1994. L’ormai Pajero Proto nato per contrastare Peugeot 405 e Citroen ZX, non poteva più correre. L’organizzazione diede una stretta sulle prestazioni dei mezzi – Il Pajero sviluppava la bellezza di 450cv – così venne inserito il nuovo e più compatto V20; Hiroshi lo sviluppò e si trovò subito a suo agio, piazzando un 4° posto lo stesso anno. Gli anni successivi riuscì a rientrare sempre nella Top 10, guidando nel 1998 anche il neonato Pajero Sport; quell’annata sanciva appieno il potere Mitsubishi. Quattro auto ai primi quattro posti con la schiacciante vittoria di Jean-Pierre Fontenay, ma questa è un’altra storia. Intanto si passò al secondo millennio; il 2000 fu il battesimo del Pajero V60, su cui mise le mani anche Hiroshi due anni dopo, ma il punto zero è di fatto il 2001.

Il Pajero Evolution V20 utilizzato da Masuoka nel 2001.

La Dakar come da tradizione partì da Parigi dopo le consuete cerimonie di benvenuto al nuovo anno. Lo squadrone Mitsubishi schierò quattro vetture ufficiali con l’obbiettivo primario di contrastare il veloce e astuto Jean Louis Schlesser. La gara fu combattutissima, con i Buggy in cerca di afferrare la Mitsubishi del giapponese in testa. A due tappe dal termine il divario tra il pilota del sol levante e il francese era poco meno di otto minuti. Jean Louis al controllo orario si affiancò a Hiroshi, partendo a tutto gas timbrando in anticipo. Poco dopo fece lo stesso il compagno di squadra Josè Maria Servia. Quest’ultimo fece da tappo al Pajero, mentre il Buggy motorizzato Renault andava al massimo per recuperare tempo. Il single track e la tanta polvere non permettevano il sorpasso e buona visibilità, ma Masuoka non voleva perdere in quel modo. Si buttò a sinistra, infilandosi tra gli alberi iniziò un forsennato fuori pista. Il V6 stava dando il tutto per tutto, ma durante il rientro nella pista battuta, l’impatto.

Masuoka tenta il sorpasso su Servia – Paris Dakar 2001

Il possente 4×4 colpì una radice nascosta nel terreno, frantumando la sospensione e la ruota posteriore sinistra. Procedette per qualche chilometro, ma proseguire per altri 150km in quelle condizioni era impensabile. Hiroshi rimase immobile al volante senza dire nulla, mentre il suo fedele navigatore – Pascal Maimon – scese dalla vettura ancora in movimento gettandosi in mezzo alla strada per cercare di fermare Servia. Lo sfiorò di qualche centimetro, scansando il buggy come fosse alla corrida. Pascal sfogò la rabbia gettando il casco a terra, ma Hiroshi, ben più pacato e esperto sapeva che non c’era tempo da perdere, aprendo nel frattempo il portellone e brandendo tutto l’occorrente. Il duo perse oltre 50 minuti. Al termine della tappa l’organizzazione non restò indifferente, riunendosi per discutere dell’accaduto. Come di consueto Hiroshi se ne stava in disparte a fumare una sigaretta, anzi. All’arrivo di ogni tappa tirava fuori dal taschino il pacchetto e fumava, ancora prima di chiedere dell’acqua, ma quella volta ne fumò più di una. Il responso arrivò solo alle 21:40. Schlesser e Servia furono penalizzati, ma Masuoka non poteva gioire. Alle spalle del trio c’era la seconda Mitsubishi pilotata dalla tedesca Jutta Kleinschmidt che balzò al comando lasciando un mesto secondo posto al giapponese, sancendo così il termine della corsa.

Il 2002 arrivò come un fulmine. Hiroshi era in forma, conosceva la vettura e finalmente successe. La Dakar fu finalmente sua. Si ripetè anche nel 2003, portando sul gradino più alto del podio il nuovo debuttante Pajero. Fu il primo e unico giapponese a vincere due volte di seguito la corsa. Chiuse secondo poi nel 2004 alle spalle del compagno di squadra Peterhansel, mentre nel biennio 2005 e 2006 non concluse la corsa. Nel 2007 terminò 5°, mentre nel 2008 come tutti sapete il raid non prese parte. Il 2009 fu l’anno di debutto per la Dakar in Sud America, dove Hiroshi partecipò ma non finì la gara.

In quell’anno Mitsubishi annunciò il ritiro e lo stesso fece il grande pilota dell’est. Chiaramente non si fermò: infatti partecipò all’Italian Baja (in cui trionfò nel 2003) e all’UAE Desert Challenge. Dal 2012 partecipò anche alla Pikes Peak in Colorado e come ultima apparizione da pilota si cimentò nel 2015 nel Baja Portalegre.  Al momento è il Senior Expert del Dipartimento di Pubbliche Relazioni Mitsubishi. E’ stato sicuramente uno dei piloti più influenti nella storia delle quattro ruote alla Dakar, facendo vivere emozioni e dimostrando doti superbe sia nell’ambito tecnico di guida sia morale.

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