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Tanto tuonò che piovve. E di parole tra gli addetti ai lavori e siti più o meno specializzati ne sono volate tante, forse troppe, dopo i primi due appuntamenti di questo mondiale 2017 che sembra aver raccolto l’attenzione dei più non tanto per la grande incertezza che regna tra le squadre dopo il ritiro di Volkswagen che ha rimescolato le carte in tavola, quanto per le nuove World Rally Car e le loro prestazioni monstre.
Abbiamo deciso di evitare di entrare nel gioco delle polemiche riguardante la “diatriba dei 130 orari di media” e non vogliamo farlo ora (avete possibilità di leggere ogni tipo di versione in altri lidi più o meno informati sui fatti) ma cerchiamo di spostare la nostra attenzione su un quesito che, dopo Montecarlo e Svezia, sembra essere tornato prepotentemente di moda. Le WRC 2017 sono davvero pericolose quanto i Gruppo B?
GRUPPO B = MORTE Fa paura leggerlo così vero? Beh, sfido chiunque di voi, soprattutto i meno “flippati” per i rallyes a dirmi se i primi ricordi che vi vengono in mente riguardanti questa epoca siano gli incidenti fatali oppure le strepitose performance che hanno visto i piloti di quell’epoca protagonisti. E’ un pensiero brutale, ne siamo coscienti, ma sembra che dopo Montecarlo molte testate giornalistiche abbiano pensato proprio a questo mettendo alla gogna le nuove WRC dopo neanche DUE prove speciali disputate. Ma siamo davvero sicuri al 100% che abbiano ragione?
La risposta, almeno secondo il personale parere di chi scrive queste righe, è NO. Per cercare di spiegare le mie ragioni, soprattutto da profano degli anni ’80 in quanto epoca che, purtroppo, rallysticamente non ho vissuto, ho deciso di affidarmi al libro dell’agenzia fotografica McKlein intitolato “Rally”. Un volume che attraverso le fotografie racconta la storia del Campionato del Mondo dalle sue origini fino ai giorni nostri (Logos Edizioni).
“Il Gruppo B rappresentò un trampolino di lancio per l’interesse del pubblico nei confronti dei rally, che crebbe in maniera esponenziale. Sulle prove speciali del Campionato del Mondo lo spettacolo fu allora decisamente impressionante, per il modo in cui i piloti professionisti usarono il loro notevole talento per dominare auto con più di 500 cavalli di potenza aventi sistemi di guida a quattro ruote motrici non troppo sofisticati.“
Le somiglianze con i giorni nostri di questo primo capoverso stanno essenzialmente nel paragone della cavalleria a disposizione sulle vetture moderne (380 circa, un grande salto rispetto al 2016, un pò come avvenne all’epoca) e nell’interesse del pubblico. Non paragonabile ovviamente a quei tempi ed al periodo d’oro di fine millennio, ma raramente a Gap (dove Rally.it era presente con quasi tutto lo staff) si è rivista tanta curiosità e tanta gente attorno a queste nuove vetture. Per quanto riguarda la tecnica invece, i sistemi 4WD moderni e l’elettronica è ormai talmente sofisticata da non avere nulla o quasi in comune con le “nonne” degli anni ’80.
“E così se l’avvento delle spettacolari vetture di Gruppo B aveva visto l’entusiasmo per i rally superare tutti i precedenti record, era chiaro che gli spettatori nel corso delle varie gare causassero problemi proprio agli organizzatori. Ad un incidente in Portogallo nel 1986 in cui alcuni spettatori rimasero uccisi quando una Ford RS200 uscì di strada, ne seguirono poi successivamente altri che causarono la morte degli stessi componenti degli equipaggi in rally tedeschi e francesi. La FIA si rese conto che doveva agire subito e lo fece vietando l’uso delle vetture di Gruppo B”
Questa è più o meno la versione che tutti noi conosciamo riguardante il bando del Gruppo B. Incidenti con il pubblico coinvolto, macchine talmente potenti da essere difficilmente governabili dai piloti dell’epoca e gli sciagurati eventi di Corsica 1986 che segnarono la fine di quella classe che forse ha emozionato di più in assoluto. La stessa paura che molti organi di stampa hanno enfatizzato dopo l’incidente che ha visto coinvolto Hayden Paddon a Montecarlo: la storia che si ripete, tornano i “mostri” e di nuovo la paura. Le medie spaventose dello Svezia hanno risvegliato anche i detrattori che preferivano delle R5 “vitaminizzate” (auto che comunque sulle nevi svedesi hanno toccato i 128,1 KM/h di media, davvero sono definibili come lente?) piuttosto che le nuove vetture.
Tutto vero? Forse…
“Il vero problema venne considerato questo tipo di vetture mentre la lacuna più grossa era la mancanza di sicurezza passiva nelle vetture da rally, che era solo il risultato dello scarso controllo da parte della federazione in questo settore, specialmente in quello delle benzine sofisticate che venivano usate nelle vetture turbo. Si chiuse dunque un occhio per il fatto che nelle gare c’era un’enorme quantità di spettatori presenti, mentre ai piloti delle auto da rally veniva spesso chiesto di guidare ad alta velocità attraverso prove speciali in cui a bordo strada vi erano file anche di dieci o più persone”
I rally di molti anni fa erano una disciplina fatta di resistenza e durata sia per il pilota che per la vettura, ma oggi come allora sono competizioni in cui chi percorre una sezione di strada denominata prova speciale nel minore tempo possibile porta a casa la vittoria. Il non controllo (o minimo) da parte dell’ente promotore permetteva quindi alle squadre dell’epoca di alleggerire scocche il più possibile per guadagnare peso utilizzando materiali e lavorazioni estreme, così come l’utilizzo di carburanti di ogni tipo ed alquanto infiammabili in caso di incidente (vi ricordate il rogo del Corsica?). Situazioni che al giorno d’oggi sono difficilmente ripetibili in quanto i roll-cage sono sottoposti a continui crash test di sicurezza così come le benzine che vengono regolamentate dalla Federazione. C’è da dire che in trent’anni le prestazioni delle vetture soprattutto in percorrenza di curva sono aumentate in modo esponenziale, ma nella stessa maniera sono migliorati assetti, messe a punto, sicurezza dei piloti e soprattutto la consapevolezza di chi vigila che quando si vede superato il limite decide giustamente per l’annullamento di una prova anzichè mettere a repentaglio la vita dei conduttori. Gli stessi piloti sono ora dei veri e propri atleti allenati fisicamente per sostenere velocità sempre maggiori e ridurre al minimo il tempo di reazione.
La gestione del pubblico è oltremodo migliorata, soprattutto dal 1990 anno in cui la FIA iniziò a regolamentare in prima persona questo aspetto: sfido chiunque di voi a dirmi che ad un qualsiasi rally sia mondiale che di zona non abbia mai e dico MAI litigato con un Marshall piuttosto che con un Gendarme francese. Da Montecarlo per chi ha la fortuna come noi di poter essere accreditati Media WRC sono state inserite nuove regole di sicurezza che limitano ai fotografi professionisti determinati comportamenti che fino all’anno scorso erano consentiti. E’ vero anche che in alcuni casi si è sfiorata l’esagerazione, ma è anche l’ennesima dimostrazione che ora a differenza di trent’anni fa le situazioni vengono quasi sempre prese in considerazione prima che il fatto accada o che la disgrazia possa portare alla classica frase “te l’avevo detto“.
La verità ovviamente sta nel mezzo, però sarebbe giusto in questo caso come in ogni decisione che vi si pone nella vita di tutti i giorni, sentire tutte le “campane” prima di dare etichette affrettate.
Detto questo, ora siamo curiosi di sentire la vostra opinione. Ricordatevi però sempre che il rally è una grande famiglia unita, non perdiamo tempo in inutili accuse ma dedichiamolo a goderci quello che, dopo anni di noiosi domini, potrebbe essere il miglior Campionato del Mondo degli ultimi 15 anni.
“We want to go fast” (Hayden Paddon, 16/02/2017)
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