Prologo
Il nostro paese è patria di tantissime case automobilistiche, che a loro modo, nel loro segmento dedicato hanno dato vita a innovazioni assolutamente incredibili. Così come nelle corse ci siamo distinti nei rally, nel Campionato Mondiale Turismo e in moltissime altre discipline. Tempo prima avevamo già introdotto come la Lancia, ed in particolare la Delta, abbia rivoluzionato il mondo dei rally, con le sue imprese e i grandi piloti che l’anno resa grande, facendola ricordare ancora oggi come un grande mito. In concomitanza però, nonostante le case fossero unite solo finanziariamente, FIAT con il suo reparto corse, l’Abarth, seguiva Lancia. Il connubio di queste due potenze fu esplosivo, come abbiamo visto. Tuttavia anche la Federazione Italiana Automobili Torino ha avuto la sua fetta di gloria nel mondiale rally, con vetture che hanno lasciato il segno come una macchia d’inchiostro sulla carta. Altre purtroppo sono state “abbandonate” a metà, seppur degli ottimi progetti che avrebbero potuto dare ancora tanto.
124 ABARTH
I nostalgici sicuramente ricordano questa spider di inizio anni ’70. Nacque precisamente nel 1969 dalla mano di Pininfarina. Inizialmente la versione base era spinta da un piccolo 1.4L monoalbero. Solo successivamente, nel 1972, dopo che alcuni piloti privati hanno accertato l’efficienza di questa vettura nei rally, Fiat decide di affidare la 124 al suo reparto corse: l’Abarth. Ciò che ne venne fuori fu interessante. Venne equipaggiata con un 1.8L bialbero, capace di erogare 128 cavalli di serie sulle ruote posteriori. La miscela aria-benzina era regolata da un carburatore doppio corpo invertito Weber da 34 millimetri. Il sistema sospensivo era a ruote indipendenti sull’anteriore, con ammortizzatori idraulici telescopici; al posteriore invece troviamo il vecchio assale rigido, con barra trasversale e ammortizzatori idraulici telescopici. Per arrestare i 920 chili sono stati equipaggiati quattro freni a disco di serie.
La vettura per essere utilizzata nei rally, venne leggermente modificata, mantenendo comunque la base di serie come richiesto dal regolamento.
La cubatura del motore venne aumentata fino a 1998 centimetri cubici, e la potenza spaziava da 190 a 215 cavalli. Venne sostituito il sistema di alimentazione, eliminando il vecchio carburatore per far posto ad un’iniezione meccanica. Il sistema di trasmissione venne rivoluzionato, montando un cambio a cinque rapporti ad innesti frontali e frizione a secco; inoltre venne applicato un differenziale autobloccante ZF al posteriore.
La 124 Abarth Rally venne usata nel Gruppo 4, molto nei campionati italiani, ma anche nel Campionato Mondiale Costruttori e successivamente, dal 1974, Campionato Mondiale Rally. Tra le vittorie riportiamo il Campionato Italiano Rally nel 1970, secondo posto nel biennio 72-73 nel Campionato Internazionale Costruttori e Mondiale Rally. Tra i campioni visti alla guida di questa piccola spider, troviamo Roberto Cambiaghi, Raffaele Pinto e Markku Alen.
127 SPORT
Questa piccola della casa torinese non è di certo l’erede della 124 spider presentata prima, anzi andava a braccetto per occupare le categorie inferiori nel campionato rally.
Ma andiamo con ordine. La 127 nacque come piccola utilitaria per sostituire la vecchia 850. Lamiere a vista e pochi fronzoli permettevano a quest’auto di essere incredibilmente economica. La sua linea uscì dalla matita di Pio Manzù, che purtroppo scomparve ancor prima che la vettura fosse ultimata. Fu presentata ufficialmente nel 1971. I motori utilizzati furono moltissimi, come ad esempio il 0.9L derivato dalla 850 Sport Coupè e depotenziato a 47 cavalli. Facciamo un salto di sette anni, fino al 1978, dove troviamo la seconda serie di questa vettura. Arriva così la 127 Sport, che sarà poi la base per la preparazione rally. Era equipaggiata con un piccolo motore da 1057 centimetri cubici, che erogava la potenza di 70 cavalli.
Il motore era della serie 100, che accompagnerà modelli FIAT fino al 1981, dove sarà rimpiazzato dal famoso FIRE.
Le sospensioni seguono lo schema MacPherson a quattro ruote indipendenti all’anteriore, mentre al posteriore abbiamo ancora la balestra trasversale. L’allestimento era facilmente riconoscibile dall’estetica: infatti l’auto era venduta color nero con strisce arancioni (oppure con l’abbinata contraria), spoiler sia posteriore che anteriore, scarico doppio e cerchi con un nuovo disegno.
Il picco di potenza si aveva ad un regime di giri piuttosto elevato: ben 8200 giri/minuto.
Ma arriviamo ai successi sportivi; dietro al piccolo successo di questa vettura troviamo Piero Lavazza che preparò moltissime 127 per il Gruppo 2, sia da noleggiare che vendere per i privatisti. Lavorò naturalmente sul motore, sostituendo il sistema di alimentazione, montando carburatori Weber da 44 millimetri, e lavorando su rapporti di compressione e lavorazioni della testa. Raggiunse così i 130 cavalli, su una vettura di 720 chili. Il sistema sospensivo venne riguardato all’anteriore, montando un tipo Lavazza, con braccio a terra su uniball. I freni erano a disco su tutte e quattro le ruote.
Si assicurò tante vittorie di classe, partecipò alla Targa Florio con un 11esimo posto assoluto. Ma la storia non finisce qui;
Infatti, sempre da Lavazza, viene preparata una 127 Gruppo A. La differenza più grande era la diminuzione della potenza e anche dei costi di produzione. La potenza è diminuita a 97 cavalli, e visto il rigido regolamento Piero dovette usare molte parti di serie.
Il volano era troppo leggero secondo le norme del regolamento, perciò dovettero riempire alcuni fori di esso con del piombo.
Il carburatore rimase infatti il Weber da 34 millimetri, ma poterono modificare i getti aumentando così la portata di benzina. La testa venne lavorata, abbassandola di 2,5 centimetri. Le valvole vennero sostituite. Le sospensioni vennero ritarate e l’auto venne abbassata, mentre la scatola del cambio rimase quella originale, abbinandola tuttavia a degli innesti frontali. Alla guida ricordiamo Duilio Truffo, il quale ha ottenuto il maggior numero di successi con questa vettura.
131 Abarth
Arriviamo così ad un punto cruciale della storia italiana rallistica. Nel bel mezzo degli anni ’70 la Lancia Stratos era in piena attività nel Gruppo 4, sbancando podi su podi. Ma verso la fine di questo decennio il gruppo Fiat decise di ritornare a competere, non puntando più su Lancia (scelta che comunque fece anni dopo) ma bensì sui propri prodotti. Nacque così nel 1976 la Fiat 131 Abarth, che si basava dalla gemella meno potente. Tuttavia in comune con la vettura lanciata nel 1974 aveva ben poco in comune; infatti il motore era completamente nuovo. Per la prima volta su una vettura di serie Fiat troviamo le quattro valvole per cilindro, inoltre abbiamo due alberi a camme in testa, quest’ultima realizzata in lega leggera. Il 2.0L erogava 140 cavalli, alimentati da un carburatore a doppio corpo Weber da 34 millimetri (già visto sulla 124 Abarth).
Tuttavia inizialmente il motore utilizzato per realizzare la versione da rally fu il 1.8L a carburatori della 124. Solo successivamente, realizzati gli esemplari stradali del 131, installarono il 2.0L.
Il peso era relativamente contenuto, ma comunque rasentava la tonnellata: 980 chili per la precisione. A fermare la monoscocca in acciaio ci pensavano quattro freni a disco, di cui quelli anteriori auto ventilati. Lo schema sospensivo era molto particolare e interessante, poiché riprendeva elementi e schemistiche riguardanti la 131 standard e la X1/9. All’anteriore troviamo un MacPherson con ammortizzatori telescopici idraulici con molle elicoidali abbinati a barra stabilizzatrice. Al posteriore abbiamo invece montanti telescopici (sempre MacPherson), ma con bracci oscillanti, ammortizzatori telescopici idraulici e, naturalmente la barra stabilizzatrice. Il cambio era a cinque marce con innesti frontali e, straordinariamente al tempo per una vettura di quel calibro e per di più stradale, un differenziale autobloccante. L’estetica era piuttosto differente dal modello originale; infatti i passaruota erano ben più la larghi, il disegno differente dei fanali posteriori e i classici spoiler anteriori e posteriori.
Il successo sportivo di quest’auto fu favoloso, grazie anche alla sua preparazione meccanica. Il motore fu rivisto adottando un’iniezione indiretta a discapito del carburatore; la potenza fu portata a 220 cavalli. Le sospensioni vennero ritarate, mentre il cambio rimase quello di serie.
Vinse due titoli mondiali piloti grazie alle abili doti di Markku Alen nel 1978 e Walter Rohrl nel 1980; inoltre Fiat può sfoggiare tre titoli costruttori in quegli anni grazie a questa vettura. Altri grandissimi campioni sono passati dal sedile di quest’auto come il nostro Bettega,Fassini, Munari, Waldegaard e Darniche. …E poi ancora la francese Michelle Mouton, Toivonen e Servia.
Nel 1982 cessa l’attività del 131 Abarth nei rally.
Ritmo 125/130 Abarth TC
Per la fine degli anni ’70 arrivò in casa Fiat una nuova arrivata. La Ritmo. Sostituiva di fatto la vecchia 128. Tuttavia non è da sottovalutare come anonima piccola utilitaria; infatti le versioni sportive, accuratamente riviste dall’Abarth sono piuttosto veloci per l’epoca. La prima serie era equipaggiata con piccoli motori, con un picco di potenza di 75 cavalli (disponibile anche la versione automatica). Bisogna aspettare il 1983 per avere la prima sportiva; infatti Abarth lancia la 125 TC. Era dotata di un motore 2.0L bialbero, con due valvole per cilindro capace di dare alle ruote anteriori ben 125 cavalli. Di fatto era derivata dalla precedente 105 TC, ma con dovute correzioni. Il cambio venne sostituito con uno ZF di produzione tedesca, i freni anteriori erano a disco, auto ventilati. Le sospensioni vennero irrigidite e modificato l’assetto generale della vettura. Altri particolari attirano l’attenzione di quest’auto: lo spoiler posteriore, lo scarico cromato, il volante sportivo e i cerchi in lega. Immancabili i motivi richiamanti lo stemma dello scorpione. Nel 1979 la Ritmo 75 Abarth prese parte al Rally di Monte Carlo con alla guida il grande Attilio Bettega.
Si usò la 75 per occupare le categorie minori, dato che la 131 era in piena attività nel gruppo 4
L’anno successivo venne introdotta la seconda serie, dove le particolarità si trovano, maggiormente all’esterno. L’estetica venne rivista, dotando la vettura di quattro proiettori anteriori e ridisegnato il paraurti per poterli alloggiare. Anche il retrotreno venne cambiato, assottigliando il paraurti rendendolo più spigoloso ed ingrandendo i fanali, in modo che riprendessero la linea dell’auto. Meccanicamente la versione Abarth recuperò 5 cavalli, infatti venne denominata 130 Abarth TC. Questa versione tuttavia venne usata nel Gruppo A, in quanto Lancia in quel periodo aveva schierato la 037 nel Gruppo B e la 131 era andata in pensione. Ricordiamo così le grandi gesta di Attilio Bettega, e Cunico con questa piccola di casa Fiat.
Uno Turbo i.e.
Per la metà degli anni ’80 gli italiani ed il mondo, iniziarono a conoscere la nuova utilitaria della casa torinese: la Uno. Di fatto era la sostituta della 127, anche se le dimensioni erano leggermente cresciute, dovute dai dettami stilistici di quegli anni. La semplicità la faceva da padrone e come ogni modello di punta le motorizzazioni, così come gli allestimenti erano molto vari; ma noi ci soffermeremo soltanto sulla versione più prestazionale ed “estrema” di questa vettura. Quella che per un breve periodo avrebbe potuto riportare la Fiat a competere direttamente nei rally. Giorgetto Giugiaro riprese in mano il disegno della Uno, modificandolo con la sua matita, per poi consegnarlo in mano ai progettisti Abarth. Il connubio italiano fu straordinario. La Uno era spinta da un motore 1.3L, con otto valvole per cilindro e un solo albero a camme in testa. L’aspirazione non era più naturale, ma bensì fu aggiunto un turbocompressore IHI RHB4, che lavorava ad una pressione di 0,7 bar.
La pressione del turbo era comunque controllata dalla valvola wastegate, e poteva tuttavia raggiungere un picco di 1 bar.
Il tutto concesse una potenza di 105 cavalli sulle ruote anteriori. La coppia massima si aveva a 3200 giri/min. , piuttosto alti ma capibile per la presenza del turbo.
L’alimentazione era ad iniezione Bosch Jettronic (simile a quella della Renault 5) con alcuni accorgimenti, per il controllo del flusso e la portata di benzina. Le sospensioni sono simili alle sue antenate: infatti all’anteriore vige un sistema MacPherson con ammortizzatori telescopici idraulici; al posteriore invece troviamo un assale torcente con ammortizzatori telescopici a gas e molle elicoidali. La massa della vettura è rimasta contenuta, infatti si parla di 845 chili. Il reparto frenante è a quattro dischi (auto ventilati all’anteriore).
Nel 1989 viene effettuato un restyling, non solo estetico. Esce così la seconda serie della Uno. La cubatura del motore viene aumentata, portandola così a 1.4L. Questo motore si può definire quasi un ibrido, in quanto condivide parti con il 1.4L della Tipo, ma il basamento è della precedente Uno, ovvero il 1.3L. La testa viene lavorata rendendola più resistente e leggera, così da permettere un aumento del rapporto di compressione. Il turbocompressore viene sostituito, montando un Garrett T2 (più piccolo rispetto al precedente IHI) con una pressione di 0,65 bar. Nonostante la pressione più bassa la potenza cresce fino a 118 cavalli. Tuttavia negli anni successivi viene diminuita a causa delle normative anti-inquinamento Euro 1.
La fine della Uno Turbo si ha nel 1993, dove verrà soppiantata dalla Punto GT.
Nei rally non ha avuto successo, se non grazie ai privati, in quanto il progetto di una Fiat Uno Gruppo A fu abbandonato, per il semplice motivo che i vertici di allora non ritenevano competitivo il progetto. Tuttavia qualche dato tecnico si è riuscito ad estrapolare; le prestazioni erano degne di una rally car. 210 cavalli turbocompressi ad una pressione di 1,5 bar. Sicuramente ricordata nella celebre livrea Totip. Purtroppo non si hanno molte informazioni ufficiali a riguardo.
Punto S1600
All’inizio degli anni 2000, Fiat decide di rimettersi in gioco. Proprio in quel periodo uscì la seconda serie della Punto. Ne uscì una versione denominata HGT, che era di fatto l’erede della GT prima serie. Era spinta da un 1.8L da 16v che produceva 130 cavalli. Ma la versione da rally era decisamente diversa: infatti il motore fu dimensionato riducendo la cubatura a 1.6L (naturalmente per poter competere nella categoria S1600). Le modifiche, oltre a questa, furono molte. A partire dal cuore del motore, dove venne sostituito l’albero motore con uno più leggero, pistoni e bielle specifiche da gara e un nuovo sistema di iniezione Marelli MF4. Il sistema di sospensioni è tipico Fiat: MacPherson all’anteriore e ponte torcente al posteriore con molle coassiali. Il cambio fu trapiantato, inserendo un sequenziale ad innesti frontali a sei marce. Il sistema frenante fu potenziato dalla Brembo, dotando la vettura di pinze a quattro pistoncini con dischi maggiorati (all’anteriore) e pinze a due pistoncini con dischi più grandi al posteriore.
La Punto S1600 venne utilizzata per organizzare un trofeo dedicato proprio a questa vettura. Era indirizzato per i giovani piloti, come trampolino di lancio. Affiancato a questo vi era anche il trofeo riservato alle Fiat Stilo Rally, con il medesimo scopo. La Stilo venne usata solo per questo trofeo.
Tutto ciò portò alla vettura un beneficio di 215 cavalli e 1000 chili di peso, che variavano a seconda dell’assetto da terra o da asfalto.
Al contrario di quanto si possa pensare questa vettura ebbe molto successo nei rally, sia mondiali sia italiani. Il ricordo più vivido sicuramente è quello di Andrea Dallavilla, a bordo della Punto, che tallonava l’allora emergente Sebastièn Loeb in seconda posizione. Altri campioni si misero nel sedile di guida come Paolo Andreucci, Giandomenico Basso, Matteo Gamba e Alessandro Bettega. Il campionato italiano arrivò nel 2003 con Andreucci. L’italiana venne impiegata anche all’estero, ottenendo ottimi risultati.
Punto S2000
Poco tempo dopo uscì una nuova versione della Punto, comunemente chiamata Grande Punto, esattamente nel 2006. Abarth ne fece una versione sportiva, dotandola di un motore 1.4L turbocompresso che erogava 155 cavalli. Le sospensioni derivavano dall’antenata Punto, perciò schema MacPherson all’anteriore e ponte torcente al posteriore. L’assetto fu ribassato di dieci millimetri, mentre la carreggiata allargata di sei. Il reparto frenante era interamente Brembo, con pinze a due pistoncini abbinate a dischi auto ventilati. Arrivò anche la versione da rally, per competere nella categoria S2000. Le modifiche anche qui furono importanti. Il motore fu sostituito, dotando la vettura di un 2.0L aspirato (sviluppato da FTP Racing) capace di sviluppare 270 cavalli a 8250 giri al minuto, su tutte e quattro le ruote. La trasmissione era simile alla sorella S1600, ovvero sequenziale a sei rapporti. I differenziale anteriore, centrale e posteriore erano meccanica, dotati di frizioni per la modifica del bloccaggio. MacPherson fu il sistema di sospensioni mantenuto, ma fu applicato anche al posteriore, con ammortizzatori regolabili e barre antirollio maggiorate. Gli ottimi freni di cui era dotata la Grande Punto già in origine vennero solo modificata, montando pinze a quattro pistoncini sia al posteriore che all’anteriore con, naturalmente, dischi maggiorati. La vettura crebbe di peso, grazie alla trazione integrale, ma solo di 150 chili, arrivando ad un totale di 1150.
Anche questa Fiat ebbe grande successo nei rally. All’esordio vinse il Campionato Italiano con Paolo Andreucci e si ripetè l’anno successivo con Giandomenico Basso. Quest’ultimo collezionò altri ottimi risultati, come un Intercontinental Rally Challenge (IRC) e due Campionati Europei (ERC), mentre i due restanti sono andati in mano a Luca Rossetti. Anche all’estero la piccola Fiat spadroneggiò nel campionato spagnolo rally con al volante Miguel Fuster.
Purtroppo nel 2011 si vide la fine di questo progetto. Un’auto che aveva moltissimo potenziale e che poteva ancora dare tanto al mondo dei rally. Ancora oggi qualche privatista la usa, ottenendo discreti piazzamenti nonostante l’età. Tutti noi speriamo di rivedere il nostro paese combattere nello sport che più ci sta a cuore, facendo tornare grande un marchio con una degna storia sportiva alle spalle.