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“Sarà la Dakar più dura di sempre”: a prometterlo, è niente meno che Marc Coma. E nessuno certo si aspettava una terza Dakar consecutiva nel segno della prudenza, dopo i paventati rischi corsi l’anno scorso. E lo spagnolo, in quell’occasione, fu bravo a mettere una toppa e ridisegnare il percorso con il fidato Etienne Lavigne. Quest’anno, però, l’asticella si è alzata. Ed è stato proprio Lavigne a parlare di una “quarta dimensione”, di un’opera vera e propria di avanguardia, di netta cesura. Lo si percepisce nelle parole del francese, lo si legge nella carta del percorso: la “nuova dimensione” è quella dell’altitudine, che per un’intera settimana non scenderà sotto i 3000m.
Veniamo ai numeri, ché la carta canta: 9000 km in 12 tappe, dal 2 al 14 gennaio, circa 4200 km di prove speciali. La progettualità è chiara: cercare di esplorare percorsi finora trascurati, dopo essere arrivati ad un livello molto vicino alla saturazione, che un po’ di fiato lo aveva tolto agli organizzatori. E quell’assenza di originalità -si è detto- ha finito per “velocizzare” l’allontanamento di Castera nel 2015.
Si parte dunque dal Paraguay, un altro tassello nel mosaico delle nazioni visitate dalla Dakar, che vuol essere per ora un tentativo sperimentale. Una sola tappa, breve -appena 39 km- di sola sabbia, da Asuncion. Messe da parte le ansie per il “traffico” in una tappa così corta, la carovana si muove verso l’Argentina, che resta in assoluto, anche questa volta, il perno dell’intero evento. E da lì, iniziano fin da subito i primi ostacoli, con le “classiche” di San Miguel de Tucuman (3 gennaio) e di San Salvador de Jujuy (4 gennaio). Ostacoli non trascendentali, certamente. Ma le cicatrici di alcuni big -su tutti Roma e Sainz- sono ancora lì a testimoniarlo.
Con l’arrivo a Tupiza, inizia un filotto di tappe assolutamente inedito: le prime (vere) dune, il primo off-road, la prima navigazione, le prime vette oltre i 3000m, da Tupiza a Oruro fino a La Paz. Una scrematura decisa, non un punto di svolta, che gli organizzatori hanno deciso di posizionare dopo il giorno di riposo dell’8 gennaio.
Subito dopo, si riparte con altre due tappe ben collaudate, La Paz-Uyuni e Uyuni-Salta, di cui la prima Marathon: il sale del Salar d’Uyuni, l’assenza dell’assistenza e poco altro graveranno sui piloti: la difficoltà è alta, ma la selezione farà il suo corso solo dopo, a partire dalla nona tappa, da Salta a Chilecito, con quasi 1000 km da coprire, di cui 400 km di speciale in puro off-road.
Le ultime chicche della Dakar in Argentina, Chilecito-San Juan e San Juan a Rio Cuarto, potrebbero risultare decisive in caso di esito ancora incerto, con ancora circa 600 km di speciale.
Ultima tappa “ad anello” di 64 km sempre a Rio Cuarto, “pensata -osserva Marc Coma- per permettere a tutto il personale di osservare l’arrivo dei piloti”. Il podio finale, invece, si terrà nella capitale, a Buenos Aires.
Il capitolo difficoltà non si ferma alle novità introdotte nel percorso che, in ogni caso, è definito ancora per sommi capi. Si è cercato, sotto questo profilo, con l’introduzione dell’articolo 24P1.4, di rendere più articolata la navigazione, con l’aggiunta di un ulteriore way point fra quelli già esistenti, non segnalato sul GPS.
In “contropartita” per i piloti, spunta una tappa Marathon anziché due -ché la mano è già stata calcata- e viene introdotta una classe SSV per categorie di veicoli leggeri.
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