La stagione 2014 del WRC si chiude con un’ennesima firma di Ogier, ancor prima che della VW.
Si è detto tutto e il contrario di tutto, si è cercata l’effervescenza di un duello con Latvala dove non c’era. Era successo con Loeb. Ma alla fine, nel 2009 come nel 2011 la stagione si concluse come doveva. Il copione è lo stesso, Ogier lo sta ripetendo con gli stessi personaggi di allora. O quasi. Non fu sempre facile l’esperienza del nove volte iridato, ma entrò nel WRC egualmente come una baionetta nel burro. E in un rally dove il tema tecnico è un po’ più pronunciato, la VW puntualmente rispetta l’attesa.
L’evento non è fra i più veloci su terra, ma soprattutto è una rara mistura in cui convergono diverse qualità di curve e di fondo, oltre che essere in presenza di meteo variabile.
E dopotutto l’assenza di stimoli, con i titoli assegnati, non ha fatto altro che spostare il baricentro dell’interesse sui leitmotiv del passato e del futuro.
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Primo fra tutti, naturalmente, il ritiro di Mikko Hirvonen dal WRC. E’ quell’enfasi, quel senso di transizione che si avverte quando comincia veramente un nuovo ciclo del motorsport, ha raccolto la vera attenzione del mondiale. Lo aveva capito Loeb appena due anni prima. Ma alla fine anche l’ex vicecampione è stato tentato dall’abbandonare la categoria. C’è un momento in cui bisogna decidere di fermarsi. E non perché mancano le energie, questo è stato troppo evidente. Il salto nel passato è stato toccante, incluso il rientro prorompente di Henning Solberg che non si risparmia in nessuna occasione. C’è un momento in cui si comprende che il treno del successo è passato. Sfiorato il titolo, Hirvonen non aveva più motivazione e voglia di fare la comparsa in un WRC che gli stava stretto. Aveva intuito che di spazio ce n’era davvero poco e che Wilson aveva altri piani.
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L’aver ritrovato una vecchia guardia così attiva, oggi più che mai, è indice dello stato in cui versa la fiducia dei team manager verso le nuove leve. Una selezione spietata ha messo da parte anche nomi di prestigio del WRC, rispolverando anche impensabilmente la quotazione di Petter Solberg. Un’andatura a gambero che ha pure le sue contraddizioni.
E questo non può non riportarci un attimo a Hirvonen. Il 2014 doveva essere l’anno della ripartenza da zero, un riavvolgimento del nastro fino al 2011, perché quella Citroen è stata una parentesi che si è autoannullata. Nella carriera del finlandese non c’è mai stato un momento così calante, di così scarsa sintonia con il proprio team.
Hirvonen non è mai stato un mercenario e per quante dietrologie siano state scritte, è stato sempre coerente. L’esperienza con il double chevron era il fatidico, ultimo treno. Non è andata così e il confronto con Loeb fu poco gradito all’allora vicecampione. Ritrovare la stessa squadra, un po’ più scarna, ma sempre la stessa, significava riabbracciare la propria culla, sportivamente parlando. E’ alla Ford che Hirvonen ha costruito il proprio bagaglio. E quello del 2011 non poteva non essere un arrivederci. Ma entrambe le parti si sono accorte che non c’erano le condizioni per ridisegnare quella piccola, grande epopea durata quasi un decennio. Le priorità, per il pilota Ford uscente, sono giustamente cambiate. Come d’altronde bisogna prima o poi constatare. E’ stato avvicinato alla Toyota, poi al Rallycross. Hirvonen non è uomo e professionista che torna indietro, ma la tentazione a volte può tradire anche la…coerenza.
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Hirvonen ha lasciato il WRC con un tocco di stile. D’altro canto, così come respirò ad inizio duemila l’ultimissima ventata di vitalità del mondiale, oggi è proprio l’ultimo a dire basta. Anche perché proprio Hirvonen ha vissuto –da protagonista- la poco felice stagione del binomio Citroen-Ford. Lascia un campionato aperto a novità, ma anche a diverse contraddizioni. Senza ripescare una retorica nostalgica e inopportuna, è giusto pure sottolineare quanto il patrimonio sportivo del pilota di Kannonkoski appartenga ad un’altra era, quella dei gentleman, quella dei piloti con un tatto diverso dall’ammucchiata mediatica di oggi. Era l’ultimo refolo di uno sport più nudo e puro.
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Per quanto croccante e avvincente possa rivelarsi la stagione 2015, il Rally del Galles ha messo a nudo alcune debolezze dei piani della FIA, che ha cercato il (solito) compromesso al ribasso; da un lato c’era chi premeva per mantenere le condizioni attuali (VW) e aveva già manifestato il suo disappunto per l’abolizione della Qualifying Stage. Dall’altro, c’era il restante gruppone, che voleva ritornare in linea di massima allo stesso regolamento del 2011. Alla fine la soluzione intermedia va a vantaggio dei secondi, perché costringe i piloti nelle prime posizioni in classifica a partire per primi e fare l’apripista nelle prime due tappe. A quel punto, nella terza, in genere i conti sono già sistemati. Non sarà così nel 2015, almeno secondo la FIA. Poi ci si accorge che la Federazione serve una specialità fuori menù, senza accorgersi che stuzzicherà lo spettacolo solo in qualche rally molto polveroso. Un contentino. L’ennesima soluzione di basso profilo che nessuno voleva; nel migliore dei casi, garantirà un paio di vittorie da spartire fra le case minori.
Si dirà che si tratta di pressapochismo. Il fatto è che il regolamento, in Galles, ha addirittura aiutato la Volkswagen!
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E’ naturale che la Fia non abbia la facoltà di compiere queste previsioni. Se si cerca un balance of performance, come in molte altre categorie, si prendano decisioni più audaci. E allora sì, in pentola c’è solo l’acqua che bolle. Le proposte curiose, per quanto irricevibili, erano pur qualcosa da cuocere. Dopo anni di immobilismo, di balzi in avanti e passi indietro. E l’acqua è finita per evaporare. Non è tempo per l’amarcord, per il rimpianto, per la madeleine proustiana. Anzi, proprio perché consapevoli che non si può riscrivere un passato che non c’è più invochiamo scelte decise. Anche impopolari. Ma senza coraggio, si andrà verso un’autoconservazione di un prodotto che reggerà finché ne sarà capace. Troppo lontano il 2017: fra le case non sembra nemmeno esserci convergenza, giacché le prime ed organiche proposte dovevano essere formulate entro fine anno.
Va bene i tentativi, i Paddon, i Neuville, i Tanak. Qualcuno entra. Ma con quanta difficoltà? E con quali prospettive?
Se Petter Solberg dovesse entrare nel team ufficiale Citroen, sarebbe la vittoria dei veterani, che nel mondiale non perdono mai lo smalto. E lo notiamo sempre. Per i cadetti sarebbe uno smacco, per la FIA un fallimento. E allora si dovrà fare mea culpa sui troppi problemi irrisolti di un WRC azzoppato…