Il successo Volkswagen in terra svedese è forse uno dei più amari e controversi della sua gloriosa ma breve storia nel WRC, una pagina da antologia, parte di un vero e proprio trattato circa i rapporti individuali all’interno di una squadra; un momento memorabile per il WRC, una pepita preziosa che distinguerà un’era sotto il segno del marchio tedesco. Se in primo luogo rimane impresso il flash, l’istante che fotografa un team compatto, un “triangolo indeformabile”, appunto, schierato nelle prime tre posizioni –fatto che non si registra da qualche anno- si sussegue una pellicola che narra vicende decisamente più tumultuose, un “fratricidio”, termine forte per delineare un passaggio cruciale di questa gara altrettanto dura, cruda, messa a nuda nel suo essere aspra e che risulta essere cartina tornasole per la tenuta psicologica dei piloti. Per l’aspetto più puramente legato ai valori tecnici, la prova del nove è rappresentata dal Portogallo, mentre già dal Messico verrà messa in evidenza la carne delle vetture, sul piano dell’affidabilità. Il Rally di Svezia rientra in un altro filone, dove emerge una scrematura veritiera di quella che è effettivamente la versatilità e la duttilità del pilota, anche in un’edizione come quella del 2014, dove fango, neve e ghiaccio si sono uniti in unico e coeso ostacolo. Il fratricidio Volkswagen, in effetti, andrebbe letto sotto questa non scontata ottica: il tentativo di imporre un frenetico e baldanzoso ritmo ha innescato la scintilla per quello che è risultato essere un incendio intestino. Come interpretare, altrimenti, quella sfrenata corsa al vertice, quando i rivali potevano essere al più rappresentati da privati?
Solo ingenuamente non ci si potrebbe accorgere di quello che è stato un brutto pasticcio, compiuto dalla squadra stessa, nell’atto di lasciare i suoi piloti a briglie sciolte, senza vincolo alcuno. Scelta compiuta anche in vista della terza giornata, conclusasi non senza qualche favilla; da quest’altro punto di vista, potrebbe essere un “parricidio” sofocleo del padre indiscusso Ogier, che è stato indirettamente escluso da un passo ormai esasperato. Non è stato un semplice errore, una distrazione: è un classico tranello di cui è stato inconsapevolmente vittima. Lo scudo mediatico, dietro al quale si è rifugiato Ogier, non è stato sufficiente…
CLASSIFICA DEI PROTAGONISTI
Jari-Matti Latvala 9
Volkswagen 7/8
Nona vittoria in carriera, terza al rally di Svezia: è la rivincita della Scandinavia sulla terribile Europa, il ritorno dei colori finnici in alto, sulla vetta del rally, essendo d’altronde Latvala, da un punto di vista espressivo, il suo vertice; eppure, il successo, ottenuto su un terreno assai fertile, non è di quelli da manuali, non è così brillante e spumeggiante come ci si aspetterebbe dal finlandese, ha carattere e personalità, ma non rappresenta affatto la summa del pilota, il quale, de facto, prima di avere la meglio sugli altri rivali, ha dovuto lottare a lungo. Indiscutibilmente, c’è però un volto della gara che brilla, perché imprecisioni a parte ed una lettura del fondo in fase di mutazione non perfetta, la forza con cui investe l’edizione, sprizzante e pungente, raffigura esattamente il motivo conduttore unico della sua performance, comunque grintosa, attiva e, sottolineiamo, condotta con il filtro della sapienza, dell’arguzia, di chi ha maturato (finalmente) la consapevolezza di essere uno degli attori principali, almeno del primo atto. O forse del prologo, perché questo è davvero e solo l’inizio e per innalzarlo a primo sfidante di Ogier, nonostante la bontà della sua prestazione, bisognerà attendere le grandi prove. Nel frattempo, la gloria di un successo, forse fugace, oppure è il primo mattone verso una stagione, dopo anni di fallimenti? GLORIA EFFIMERA?
Andreas Mikkelsen 8/9
Se per Latvala si può parlare di continuità di risultati da ritrovare, per Mikkelsen questa parentesi, pescata singolarmente, rappresenta un traguardo indiscutibile, un’incisione scolpita sulla pietra che, a prescindere dell’esito finale della stagione, testimonia la forma ottimale della vettura, un pacchetto assolutamente efficiente, un punto di non ritorno, una rottura completa con ciò che precede il podio, nuove pagine e nuova storia, perché il norvegese visto in Svezia, danzare così fra gli snowbanks, non si era mai visto. Una figura rinnovata nella forma, sfidando senza mezzi termini Ogier e provocandone, in fondo indirettamente, le tribolazioni; è lo scompigliatore di professione, che trae vantaggio dalle situazioni di grande ingarbuglio, sbrogliando anche gli intrecci più complessi ed articolati. Ma Mikkelsen è anche il pilota dalla guida rude, sporca ed offensiva, tutta tesa verso l’alto, verso l’apice. E’ lo strumento con il quale mette in difficoltà i team mates, ma risulta anche essere l’arma con la quale abbandona i sogni di successo, rischiando anche il ritiro per via di una copiosa perdita d’olio. Da un punto di vista olistico è l’artefice di un’impresa, con le sfumature della guida ancora troppo acerba: intanto, si impone come un segnale di vitalità. VIGORE
Mads Ostberg 7½
Citroen 7
L’altro norvegese, che in Svezia ha sempre brillato, non risponde all’etica della rinuncia, andando a cogliere il suo quarto podio consecutivo in terra scandinava e portandosi a ridosso delle prime posizioni in classifica, in questo caso rispondendo affermativamente alle istanze di svolta Citroen; tuttavia, in nome del suo prestigio di sommo e magistrale interprete della prova, offre una performance complessiva che, almeno in parte, delude le aspettative.
In primo luogo, quel vero e proprio silenzio, di fronte al dilagare della Volkswagen, ha rappresentato la pagina meno “nobile” della sua prestazione; inoltre, da un interprete di un tale spessore, sarebbe stato lecito attendersi una performance molto più grintosa e vivace; la tattica della cautela, tirando le somme, ha pagato e lo ha quasi condotto alla piazza d’onore, ma per pensare di insidiare la Volkswagen non basterà il semplice tatticismo, servirà l’azione e lo slancio. PODIO A DUE FACCE
Mikko Hirvonen 6½
Ford 6
Nel girone introduttivo delle prime tre gare, si evidenziano sempre grandi lettori delle gare locali e Hirvonen si inserisce addirittura come il professionista per antonomasia delle gare scandinave; l’attesa per un ritorno in pompa magna, dopo il ritiro mesto e grigio del 2013, testimoniava quel senso di centralità, che poneva il finlandese come ago della bilancia di una lotta spiccatamente Volkswagen. E invece, a ribaltare questo ultimo barlume di prestigio, è stato la squadrone della casa tedesca stessa, che ha escluso in primis qualsiasi inserimento in quello che è parso un regolamento di conti in famiglia, poi è venuta meno la materia prima, un’incapacità sostanziale di entrare a far parte del gioco; la politica al risparmio lo porta fino al quarto posto, ma i due minuti e mezzo testimoniano la necessità, ineludibile, di ripartire ex novo, da una tabula rasa. UNA “EX-GARANZIA”
Ott Tanak 7½
Molto più brioso l’estone Tanak, che se da un lato si è perso nel corso della gara, smarrendo quella prestazione che è culminata anche in una vittoria di tappa, dall’altro è stato il rappresentante più credibile dell’opposizione a Volkswagen, consistente e soprattutto unico e vero privato capace, con anima e corpo, di porsi ed ergersi a raccoglitore delle istanze antimonopolio, quel cartello VW che lacera la concorrenza. Ed è forse la più limpida ed eloquente dimostrazione di quanto l’estone metta in campo solo risorse umane, una propensione tutta naturale a valicare i confini tecnici del mezzo a disposizione. Ma non basta, la resa avviene, con l’onore delle armi, cedendo anche il quarto posto a Hirvonen e abbandonando quella fugace brama del podio, insufficiente nel finale la spinta propulsiva del pilota estone. C’è tanta materia grezza, ma il giovane pilota dovrà raffinare le proprie doti, che restano un oggetto di indiscusso valore. TALENTO E PERSONALITA’
Sébastien Ogier 7
La prova di Ogier è quella delle grandi contraddizioni, dei dubbi, forse dei sospetti. Perché c’è un team, di cui è leader indiscusso, che per una volta è prevalso nella sua unità, il collettivo che si oppone all’individuale, una delle grandi tematiche di un WRC che ha assemblato grandi squadre ma anche grandi condottieri. Fra i francesi, con la fine del dualismo dei due Sébastien, è iniziato un corso che però si apre con nuovi orizzonti: il campione in carica, ostacolato a lungo da Mikkelsen, è poi precipitato nel tranello di un banco di neve. Non è l’errore banale, non è la distrazione, ma rientra nella sintomatologia di un ritmo davvero fin troppo forsennato, di chi prova a imporre la propria legge, una dottrina estrema della rincorsa fino all’affanno. Tentativo pernicioso ed estremamente azzardato, che lascia spazio a libere interpretazioni e consente di cogliere l’essenza di un Ogier fallibile, che non può, per autorevolezza e autorità nel team, cadere di nuovo.
PARENTESI (INFELICE)
Henning Solberg 7+
Solberg, a dispetto dei piloti finora citati, è il più rusticano, campagnolo, è capace, come un attore metateatrale, di andare oltre, andando a fondere la propria presenza con quella del pubblico. La sua tempra è un filo diretto che congiunge il norvegese agli spettatori ed è abile nell’infilarsi nella zona della classifica che conta, è un privato di classe, di notevole caratura, assieme a Tanak, con il quale si erge, in un denominatore comune, a sfidante dei “big”, riuscendo a portare a termine un’opera ambiziosa, zona punti con vittoria di speciale annessa, fa da tampone a Ogier, ma nel conto finale paga due testacoda ed una foratura. SMALTO CONSUETO
Pontus Tidemand 6½
Chi appare un po’ in impaccio nel Rally di Svezia, a sorpresa, è un portabandiera, Pontus Tidemand, che è partito con il titolo WRC Junior in tasca e tanto talento da investire nella gara di casa, una candidatura come pilota ufficiale in ottica 2015, che però è partita sotto i peggiori auspici, con una prestazione, la quale, nel suo insieme, è insipida, esangue, per non dire totalmente priva di carattere.
A prescindere dal fatto che il traguardo, in zona punti, oltre che esperienza infilata nel carniere, manca quel vigore, quella forza dell’immaginazione e del sogno che riuscì a portarlo, in quadro dalle parvenze irreali, fino ai primi posti nel 2013. Entusiasmo precoce, evidentemente, ma a mancare è stato un elemento tutt’altro accessorio, appunto, l’incapacità di perseguire un obiettivo eccellente, perdendosi nell’ambito di un eccesso di calcolo pratico.
Craig Breen 6- e Elfyn Evans 6
Entrambi per la prima volta sulla neve, per la verità particolarmente morbida e non vicina ai canoni tradizionali svedesi, si sono lanciati impavidamente in una sfida di notevole portata, giacché il grip del fondo, in discontinuo miglioramento, non ha consentito un approccio regolare e paziente alla gara. Se per l’uno il traguardo è una mezza soddisfazione, dal momento in cui è stata una prestazione con il fiato corto, a tratti scialba, ma da non ripudiare, in quanto primo passo di una fase di accostamento al WRC, per l’altro è stato il weekend della beffa, unica via con cui interpretare la prova di Evans. Il nono posto temporaneo, seppure insoddisfacente, ha rappresentato un traguardo, una conquista per dare continuità alla propria azione, fino al momento in cui è caduto in un tranello, in questo caso un vero errore banale nell’ultima prova, che offusca già la situazione di un team Ford mai brillante ed evidentemente neppure concreto nel captare punti utili.
Kris Meeke 6
In seguito all’ottima prestazione monegasca, nel rally svedese è affiorata nuovamente questa personalità promiscua di Meeke, che, solo in articulo mortis ha lasciato spiccare il carattere più puntuto del pilota, dopo aver navigato nella mediocrità lungo la gara e solo attraverso una politica al risparmio, molto accorta, ha raggiunto un sesto posto di dignità, ma non certo di gloria. Caduto nell’insidia della neve, ha oscurato quei frammenti positivi, i quali si sono dispersi e hanno lasciato in superficie una prestazione acerba, nel finale recuperata con un decimo posto, appena sufficiente per garantire un punticino che è più amaro del ritiro, oltre che beffardo.
CLASSIFICA WRC2
Karl Kruuda e Jari Ketomaa 8
Curioso l’epilogo con cui si conclude l’atto più caldo delle rispettive performance, sembra una vicenda dettata dal caso, non determinata da precisi valori in campo, ma da una successione di fatti alquanto bizzarra, con la cessione della leadership al finlandese nella terzultima prova, recuperata poi con un colpo di coda dall’estone Kruuda nel finale, con una vittoria di prova autorevole, frutto però di una combinazione del tutto arbitraria e sequenziale, un prodotto peraltro inaspettato inizialmente per entrambi, ritrovatisi di fronte ad un esito rovesciato: è lo scherzo che questo WRC2, già abbastanza competitivo e “tirato” è capace di produrre, con ribaltamenti sempre dietro l’angolo ed inaspettati.
Fredrik Ahlin 6/7
Yuriy Protasov 6+
CLASSIFICA RITIRI/RALLY2
Thierry Neuville e Juho Hanninen 5
E’ inutile osservarlo, per l’estrema evidenza, ma è comunque dovuto: l’esperienza Hyundai, che pure riparte dalla Svezia con un bagaglio interessante di informazioni, è ancora magro e privo di risultati, di sostanza materiale, quel “do ut facias” Hyundai non è stato interiorizzato dai piloti che hanno preso in mano la vettura “incartandosi” in rincorse personali, più tendenti all’ambizione personale che al risultato collettivo. Volge un vento contrario, dunque, alla nave coreane, per certi versi danneggiata da questo “ammutinamento”, una forzatura che simboleggia però il senso del travaglio, non è possibile ergersi a guida di una squadra, tradendone e confutandone gli obiettivi. Entrambi i piloti si sono rivelati ottimi conduttori, che hanno fatto proprio il coraggioso debutto della Hyundai nel WRC, ma di fatto ancora incapaci di assimilarne la prudenza e l’accortezza.
Robert Kubica 5
I tempi degli eccessi, degli azzardi, dei rischi sfrenati sono prossimi al loro termine, volge al termine un’era in cui si è concesso di scaricare tutto l’istinto più recondito sul proprio mezzo, inizia il ciclo in cui Kubica deve entrare nel meccanismo del WRC. L’anticamera del vero campionato ha offerto un pilota troppo acerbo, assolutamente lontano dal giusto equilibrio di costanza e prestazione pura, due termine che sono venuti meno nell’equazione di questo rally di Svezia, una performance acefala, che è composta da frammenti di intemperanza. Ma il polacco non può neppure rinunciare alla propria essenza di pilota crudo, del filone prendere o lasciare. E’ un personaggio avvolto dalla patina della cripticità; da comprendere, tuttora, un potenziale “in pectore”.
RUBRICA “DENTRO IL RALLY”
Rally di Svezia 7/8
Piace il formato nuovo del WRC, più vicino ai suoi appassionati, che consente anche una messa a fuoco ottimale un’edizione dai caratteri inediti, inconsueta per la serie che non vedeva un Rally di Svezia parzialmente sterrato dal 2008. E’ la forza espressiva del “tutto muta, nulla perisce”, perché il consistente aumento di grip del fondo, che ha lasciato affiorare anche numerose pietre, non ha affatto consentito un superamento dei più ancestrali ostacoli del rally scandinavo; non è più pattinaggio, ma si tratta di sapersi districare nel complesso ginepraio di una gara che richiede di eccedere, ma non troppo, aumentare il ritmo di una marcia scandita dalle pastoie di quell’alchimia di neve fresca e terra umida. Un volto nuovo, celato, affascinante in quanto propositore di nuovi scenari.
Chi sale e chi scende: Yazeed Al Rajhi, Martin Prokop
Una biforcazione curiosa, quella prodotta durante il rally svedese, con la definitiva affermazione di un arabo dalle straordinarie doti sulla neve, che desta interesse ed alimenta un suo ingresso autorevole accreditato di una piena legittimazione, in virtù di un pieno inserimento in quello che è il WRC2 odierno, può correre per un titolo alla sua portata, l’appartenenza geografica pare solo questione di simboli.
Molto meno simbolica è la vicenda di Prokop, l’impopolare pilota ceco che, lamentandosi di uno scarso appoggio degli appassionati a bordopista, è stato servito dagli stessi nel suo secondo errore, in cui è rimasto nuovamente vittima della neve, non ricevendo alcun ausilio. Molto più di uno scherzo del destino: è la partecipazione del pubblico, spesso troppo vituperato e criticato, in quella che è l’azione teatrale, dimostrando, ancora una volta, di esser il metro più affidabile dell’umore complessivo degli appassionati…