Riparte la Dakar e, questa volta, con una vera tappa. Quasi. Come di consueto, le prime tappe sono solo frammenti sparsi, disordinati e privi di valori attendibili. Sono veri trofei di caccia per gli exploiters, perché per i contendenti principali, il risultato su una prova tecnica, lenta, dalla lunghezza modesta, è ininfluente. Sono prove in cui non si vince la Dakar, ma la si può perdere. Lo sanno bene gli equipaggi incappati in tribolazione, destinati a sopperire ad un handicap, magari anche a causa di una leggerezza, che può diventare decisiva.
Da Rosario a San Luis, dove è stato posto il bivacco, intercorrono circa ottocento chilometri, ma quelli cronometrati sono solo centottanta; una prova estremamente tecnica, quasi da mondiale rally, composta da sola ghiaia e tratti guidati. Si corre, insomma, attraverso la pampa secca, con temperature elevate, attenuate solo dalle recenti piogge, le quali a loro volta hanno compattato il fondo, con medie intorno agli ottanta chilometri orari. Si esaltano dunque gli specialisti, i perfezionisti dello sterrato, di cui conoscono tutte le più piccole peculiarità. Sullo schieramento, del resto, ci sono piloti di ogni provenienza sportiva.
Questa conformazione della PS, tuttavia, non implica una condotta da “passerella”, tutt’altro. I quattro ruote motrici qui si esaltano e coloro che, almeno sulla carta, non hanno aspettative di vittoria, si lanciano in tentativi azzardati e perniciosi con ambizioni di successo non facilmente ripetibili. E’ la tappa di pianura dei velocisti, con una metafora ciclistica, ma non dobbiamo, del resto, più sottovalutare il ruolo del primo vincitore della categoria auto, Carlos Sousa, negli anni passati brillato per insolite qualità di amministratore –parola sconosciuta nel vocabolario Dakar- una qualifica di sempreverde che fa onore.
Eppure, gli otto piazzamenti nella top ten, un programma audace con SMG e Haval, nota casa automobilistica cinese, non hanno mai colmato quella lacuna, un risultato di prestigio tale da consentire il guizzo decisivo. Perché, in fondo, l’Haval H8 non è mai stato il mezzo brioso con il quale vincere, troppo deficitario rispetto alle più evolute Mini, almeno fino a quando non è stato rivisto il veicolo, totalmente rinfrescato nella veste e nel cuore. E’ un rilancio forse simbolico, una performance ad effetto; tuttavia sono le prime pagine di una Cina da rally, che sbarca in tutti i continenti, un’onda che travolge ogni settore ed ogni realtà. Il giorno di gloria di chi non vedeva una vittoria di tappa, Carlos Sousa, dagli annali d’oro Mitsubishi, negli anni della Dakar africana.
Lo spazio, almeno per oggi, è meritatamente suo, mentre la consistenza di tale successo andrà verificato solo successivamente; resta un’iniezione di fiducia, giacché anche l’ottavo posto di Lavielle, sempre su Haval, irrobustice un trend sicuramente positivo.
Le Mini monopolizzano le altre piazze di rilievo, fino alla quarta, con l’argentino Terranova intento a mostrare fin da subito il proprio repertorio agonistico nella squadra tedesca, fissando subito, almeno in casa, la propria brama di successo e, vittoria storica Haval a parte, gli undici secondi di distacco vanno a rientrare in quella categoria di gap che abbiamo già identificato come assoluto irrilevante, così come circa il minuto di distacco accumulato da Al Attiyah e Nani Roma, i quali a loro volta, forti del proprio status di top driver, non si sono introdotti in avventurosi colpi di coda, combinando ritmo e ragionevolezza.
Decisamente più prudente Sainz, che fin da subito aveva affermato la propria volontà di non calcare eccessivamente nella guida, mantenendo un ritmo prudente ed equilibrato, su un terreno che risulta essere certamente il Tallone d’Achille del suo buggy, ostile allo sterrato e naturalmente più agile lungo i percorsi angusti, veloci e sabbiosi. L’ex campione del WRC l’ha definita troppo lenta e sinuosa, troppo rallistica, nel senso puro del termine. Con lo stesso distacco dello spagnolo –quattro minuti- arrivano gli altri due alfieri Mini, Peterhansel e Holowczyc, il primo in ritardo a causa di una foratura. Eventi spiacevoli, logoranti psicologicamente, ma agevolmente colmabili.
Undicesimo Federico Villagra, navigato da Perez Companc, popolare figura del mondiale rally, per lungo tempo affermatosi nelle cronache del WRC: inizia così una nuova esperienza, all’insegna del divertimento; un nuovo stimolo sportivo per un pilota poliedrico. Arriva entro la top 60 il prototipo Fiat Freemont guidato dall’equipaggio bulgaro Orlin-Nikolov, mentre nel primo intermedio la Panda di Verzeletti era in centotrentesima posizione.
Andiamo a focalizzare infine l’attenzione sui numerosi iscritti di rilievo e particolarmente attesi, afflitti da quei tormenti di cui si possono solo che raccogliere i cocci, frutto di clamorosi insuccessi:
Guerlain Chicherit, così celebrato sul podio, sul buggy preparato da Jefferies, in lizza almeno per la top five, è arrivato con oltre un’ora di ritardo, Giniel De Villiers è ventisettesimo con sedici minuti di distacco; Gordon è tuttora in ritardo e probabilmente è destinato a tagliare il traguardo con un gap macroscopico, quantificabile con certezza superiore al minuto. Anche il pickup Ford di Lucio Alvarez è marcatamente attardato per un guasto meccanico; problemi per Ronan Chabot sullo stesso buggy SMG di Sainz a causa di un problema allo sterzo.
Sulle moto leadership di Barreda Bort su Honda, seguito a mezzo minuto da Coma; terzo il campione in carica Despres. Subito aggressivo lo spagnolo, che conferma una propensione all’attacco, una strategia caparbia che l’anno scorso fruttò gioie e dolori.
A sorpresa quarto Duclos, settimo Pedrero Garcia, entrambi su Sherco, che ha positivamente impressionato in questa prima prova, molto tecnica. Quinto Goncalves su Honda, ottavo Metge e nono Sunderland.
Chiude invece decimo il nostro Alessandro Botturi su Speedbrain, inizio senza pretese ma consistente; più staccati gli altri, con Ceci e Zanotti rispettivamente in posizione comprese fra la trentesima e la quarantesima.
Categoria camion in corso di svolgimento, con il primo intertempo molto competitivo di Ales Loprais, sul Tatra capace di miracoli sulla sabbia, benché capace subito di dettare legge, anche sullo sterrato. Primi chilometri, ad ogni modo, non ancora decifrabili, per via di una tendenza dei distacchi dei camion “a fisarmonica”; mezzi che vanno gestiti in modo flessibile e che pertanto mostrano un andamento tutt’altro che lineare e feeling intermittente…
Prova, dunque, la quale nel complesso è difficile da codificare -una regola ormai acquisita per le prime tappe- getta dei cardini, consente ai piloti di stabilire un contatto, ma non gode di una visione unitaria, ma non identifica parametri: per la Dakar, questa non è nemmeno la prima portata di un banchetto che ha già servito le prime disfatte, a freddo.
*In copertina, Sousa in azione nell’edizione della Dakar 2013