*Foto di copertina dedicata a Chardonnet, emblema di una scuola (e di una federazione) giunta al culmine del suo splendore. L’inizio della fine o simbolo di un’accademia irreversibile nelle sue forme?
In seguito alla prova del Rally d’Alsazia, svoltasi quasi un mese addietro, ritengo opportuno, specie in quest’ultimo trittico di gare che precedono il ritiro di Loeb da programmi completi nel WRC, scrivere un testo, qualche riga su un prototipo che a tratti sembra indistruttibile,la “fortezza” Francia: ciò che si può, in altre parole, paragonare all’ex Italia rallystica: una presenza costante di Lancia nella serie, supportata da un intreccio di trofei e campionati così saldi, da apparire altrettanto resistente agli urti regolamentari. Oggi scopriamo, invece, che non solo la Francia può replicare il miracolo tricolore, ma può costruire qualcosa di più grande dei dieci titoli della casa italiana, anche senza l’ausilio del costruttore casalingo: c’è qualcosa che va oltre la casa privata, ormai un mito in Francia, l’onnipotente FFSA che si preoccupa di far debuttare nel rally WRC nazionale i giovani che più promettono, ma, come già visto, non necessariamente legati a PSA. In altre parole, come noto, il rally è uno sport nazionale, qualcosa che può essere paragonabile al calcio italiano, come è altrettanto evidente, tabù intoccabile nella cultura nostrana. I cicli sono sempre esistiti, sia ben chiaro, ma sta a ciascuno cercare di renderli persistenti, non casualmente, Peugeot si è impegnata con una R5. Fatta questa premessa, forse un po’ “disordinata”, perché questa vuole essere un’analisi a ruota libera, senza troppi schemi; in sostanza vogliamo dimostrare che Loeb non è una parentesi, ma è un mito sul quale si stanno formando le successive generazioni, aggiungiamo noi, con successo. Lo schema di argomentazione avrà la seguente conformazione: “assaggio storico”, qualche nota generale, seguite dall’analisi di questo modello, per concludere con un commento inerente il suo funzionamento e soprattutto la sua “esportazione”. Buona Lettura!
Loeb, un mito ed un’era
Come si accennava precedentemente, quasi tutto è nato sulle orme di Loeb ma come è ben evidente, i grandi nomi, Ragnotti e Panizzi per citarne due, ha sempre avuto una tradizione rallystica su asfalto, sul quale sono cresciti i piloti sopra citati; Peugeot e Citroen si erano già impegnate nella serie. E’ indubbio che Loeb è più che un allievo, il quale nel suo percorso formativo, non solo eccelle e si distingue, ma raggiunge risultati straordinari, è stato il primo europeo a demolire tutti quei totem concernenti l’imbattibilità dei nordici su alcuni fondi, tanto per citare una delle memorabili imprese, le res gestae di un campionissimo, indescrivibile per la straordinarietà e l’eccellenza. Il Rally di Alsazia ha mostrato tutte queste doti, Loeb è nato nel luogo giusto al momento giusto, per esprimere la questione con un’espressione, ma ora, a causa del ritiro dalla lotte per l’iride, il francese deve passare il testimone: è questa la grande sfida della scuola di rally francese, dare continuità al sogno durato un decennio, attraverso nomi già noti: Ogier, Campana, Arzeno e perché no, Consani. L’eredità è pesante, a tratti si potrebbe considerare perfino un peso insostenibile da mantenere, perché in fondo Loeb ha lasciato un risultato storico, ragionevolmente irripetibile a breve e medio termine. Si è investito molto sulla categoria, ma con l’abbandono del nove volte iridato, paragonabile per noi italiani, a quello di Biasion, tanto per proseguire nel raffronto, c’è il rischio di far crollare dalle basi una sua struttura. In realtà, la situazione è diversa, da molto tempo il motorsport francese si è difeso da questa evenienza ed anzi, è compatto e lancia regolarmente nuovi drivers: Chardonnet, durante il Rally d’Alsazia, è stato il portacolori di questi ultimi, entrando prepotentemente in top ten, nonostante l’esigua e limitata esperienza. La formula del successo?
INVESTIMENTI-AUDACIA-ORGANIZZAZIONE
L’Analisi: Il Modello alla francese
Ciò che è sicuramente più affascinante, è che in Europa ci sono tanti prototipi di scuola, delle vere accademia, che distinguono il percorso formativo, anche se per alcuni aspetti, le case hanno in parte uniformato questo aspetto, avendo allestito trofei analoghi lungo il Vecchio Continente; ma i campionati che contano, dove nascono i grandi piloti, evidenziano in modo palese e imbarazzante che ad eccezione della Finlandia, dove il rally è una tradizione innata, la Francia ha l’assoluto predominio, in virtù di una gamma di gare molto ampia ed estesa, di un ventaglio di campionati altrettanto completo, arricchito da due elementi essenziali, ovvero elenchi iscritti corposi, ottenuti anche per mezzo di concomitanze fra diversi trofei. La qualità di una gara non è lontana da quella del mondiale, le WRC sono ancora ammesse, ma le S2000 e i rispettivi piloti crescono in modo altrettanto omogeneo, dando vita ad un miscuglio interessante ed in costante lotta, mai parallela. I due tronconi di base sono il campionato su terra e su asfalto, divisi profondamente concettualmente, che riflettono certamente la più grande tradizione su asfalto, ma che non nega perfino un’inversione di tendenza nell’ambito dello sterrato. A testimonianza del fatto che in Francia si fa anche tesoro dei risultati ottenuti, aumentandone l’efficacia in modo esponenziale: è così che nasce Germain Bonnefis, a livello simbolico, il primo e vero pilota di pura scuola terraiaola, un successo di portata straordinaria, lo ha dimostrato anche a San Marino. E’ senza alcun dubbio un meccanismo difficile da attuare, specie in funzione delle complicazioni economiche: è un progetto che richiede grandi finanziamenti per essere allestito, ma con il supporto privato, è sostenibile: lo dimostra il Rally di Alsazia, finanziato da un ente bancario nazionale. Altrettanto vero è che i fatti e le parole sono due poli opposti: ormai il rally è uno sport, come già diverse volte ribadito, entrato nella collettività nazionale, anche extra-specialistica, coinvolgendo una porzione di appassionati non necessariamente competenti, in virtù del fatto che il rally si è trasformato in sport nazionale. E’ una distinzione che bisogna evidenziare più volte, in modo opportuno, in quanto è il sentimento condiviso a rendere una disciplina veramente apprezzata. Giunti alle conclusioni, è proprio questo il modello alla francese: non solo uno schema, ma anche la collettività, la passione, la condivisione infusa da una sincera vicinanza di tutti gli appassionati, che non hanno solo un idolo nazionale, ma anche un sistema sportivo sano. Penso che il punto di forza centrale francese vada ricercato proprio in queste ultime righe.
L’Analisi: il Modello all’italiana
L’Italia è considerata una fra le nazioni con più alta concretazione di tradizione rallystica; pensiero che sottoscrivo, con una breve precisazione: c’è una effettiva dispersione in Italia dei piloti, locali, nazionali e internazionali. Riconosco di aver rifiutato a lungo questa idea come vera causa scatenante di una crisi, chiamiamola “accademica” del sistema Italia. Seguendo con più attenzione i campionati francesi, mi sono accorto che l’arma dei “cugini d’oltralpe” consiste proprio in una suddivisione razionale ed equilibrata in poche serie e trofei, dove si nota peraltro libertà a tutto campo in ambito regolamentare; eppure, nel paese nostrano, si addensa una moltitudine di piloti dal gran potenziale, ma che vengono limitati da una suddivisione in Ronde le cui denominazioni sono ormai sempre più svariate; nel nostro paese sono anzi in aumento, e non vedo come si possa emergere da una situazione di stallo, così inappropriata per una nazione dal notevole e spiccato rilievo sportivo e più in dettaglio, automobilistico. In Italia bisogna attuare una “maxi-riforma” di un intricato meccanismo sportivo che ormai si rivela inadatto e obsoleto in un contesto mondiale dove invece la selezione è spietata e rigida. Bisognerebbe partire dall’ACI-CSAI, ma non è il caso di pronunciare discorsi altisonanti ed eccheggianti, giacchè il web ne è colmo, questa vuole essere un’analisi libera, a tutto campo, senza dover far ricorso a proclami. Ciò che più preme, in virtù di uno scenario economico più austero e sobrio, è una modifica progressiva, per certi versi anche storico-culturale della visione delle gare locali, che si realizza attraverso accorpamento che contribuisca a semplificare una mole insostenibile di appuntamenti rallystici fin troppo disuniti per essere apprezzati e seguiti, servono elenchi iscritti corposi per dare vita a serie in cui si possa garantire un indice di visibilità almeno accettabile. La Ronde è tradizione e per tal motivo non è elemento da considerarsi superfluo; si intende, più semplicemente una riorganizzazione degli spazi e una razionalizzazione degli appuntamenti, al fine di riprodurre alcune caratteristiche della scuola francese in uno sfondo totalmente differente, quello italiano, senza intaccarne i valori. Riqualificare, ad esempio, TRA e TRT, è un problema da affrontare, forse fin troppo trascurato. Ad oggi ci sono il CIR, i due trofei asfalto e terra, i trofei di dimensioni ridotte monomarca, che in effetti sono un buon punto di partenza per rivisitare alcuni ambiti. Altro plastico nazionale, da cui trarre ispirazione, potrebbe essere l’IRCup, che è stato preparato in modo opportuno, tale da poter attrarre regolarmente un numero iscritti considerevole, a testimonianza del fatto che il nostro “modello” non potrà adagiarsi sulle giustificazioni, quali l’assenza di costruttori italici nel WRC od altre tesi di natura piuttosto discutibile. Per riassumere, in conclusione, il complesso di gare italiane, si può senza dubbio affermare che conserva un potenziale nascosto, sommerso da inefficienze , che ancora una volta, compromettono la bontà di alcune eccellenze del Belpaese.
Il Commento: la Francia è davvero un modello intramontabile? Può essere esportato?
E’ indubbio, specie in funzione di quanto detto sopra, che la Francia possiede tutte le peculiarità idonee per poter proseguire a lungo in questo percorso di successi, ma è altrettanto condivibile che si tratta di un insieme di scelte le quali non sono altro che lo specchio di una visione di ampio raggio, avveniristica e audace, nel considerare i propri piloti come strumento di “export” di una mentalità, di una formula funzionante, mentre nel resto d’Europa gli schemi sono ormai del tutto privi di confronto. Ahimè, il motto latino excusatio non petita, accusatio manifesta, è il concentrato di un novero di personalità che si affanno a giustificare il proprio operato, fuori dalla realtà, in modo a volte imbarazzante e disdicevole. Per meglio dire, è il susseguirsi di una catena di azioni discutibili ad aver danneggiato, per quel che riguarda il sistema Italia, il nostro automobilismo. E’ un interrogativo, quello concernente la solidità dell’accademia francese, al quale ho avuto difficoltà a rispondere, anche a causa di un certo scetticismo, in seguito ai primi successi di Loeb; successivamente, con un Ogier in crescita verticale, l’altrettanto costante aumentare di “prodotti” francesi e soprattutto la permanenza concreta di Citroen nel mondiale, hanno modificato radicalmente tale considerazione. La Francia è maturata nel comparto dei motori, non solo in quello dei rally, affinando un meccanismo invidiabile, unico nel suo genere, a differenza di quell’Italia già diverse volte citata che, con l’abbandono di Lancia, è andata a svanire e a perdersi per strada, affidandosi solo allo smisurato coraggio di alcuni equipaggi che non si sono sottratti alla volontà di ben figurare all’estero; chiaramente se la Citroen dovesse ritirarsi, il dominio potrebbe venir meno, l’interesse francese, con l’abbandono di Loeb potrebbe ridursi, sono ipotesi da non valutare come improbabili, perché se nel territorio nostrano si è formato quasi un culto del marchio, dall’altra parte c’è il culto della personalità, senza la quale, pilastro fondamentale, potrebbe, anche lentamente, sciogliersi l’effetto, non pensiamo alla FFSA come “panacea” alle possibili complicazioni che potrebbero verificarsi. Tuttavia, in questa dimostrazione, tendiamo ad escludere anticipatamente queste eventualità, giacchè sono realisticamente più remote in proporzione ad una vera e propria cultura del rally costituitasi in Francia; in fondo, Loeb è stato l’elemento di partenza di una catena di successi, di una svolta in un mondo in cui già lo stato d’oltralpe eccelleva, ma la nazione protagonista della serie mondiale non è intenzionata ad abbandonare quanto costruito: oltre alla già menzionata Peugeot, mi pare evidente che ci siano tanti successori comunque degni di succedere all’incontestabile leader della scena per un decennio. Inoltre, al di là di queste valutazioni di apparenza, diciamo pure scontate, ciò che vogliamo esprimere, nella sostanza, che è un fatto culturale e tradizionale ad impedire un crollo, il lettore più attento ed accorto avrà notato sin dalle prime righe che il nucleo di questo articolo concerne proprio una valutazione la quale supera gli schemi tradizionale, vuole mostrare che in fondo il rally francese non è solo Loeb, un concetto peraltro a lungo considerato come vero, senza andare ad analizzare, in fondo, quel sistema scolastico che nella sua semplicità, è il più aggressivo in campo internazionale, anche perché, procedendo per approccio deterministico, possiamo in assoluto definire che nulla avviene per casualità e di conseguenza, i talenti nascono, ma vanno coltivati, il merito è tutto di una scuola che, opportunamente aiutata dal ruolo di Citroen, ha lanciato il nove volte iridato; nel futuro a medio termine la casa potrebbe abbandonare la serie massima, ma finchè in Francia ci sarà un così coeso impegno collettivo, difficilmente si potrà parlare di declino di una struttura imponente, a partire dalle fondamenta…