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In occasione del Rally dell’Adriatico, il quale si conferma regolarmente un appuntamento eccezionale, pongo l’attenzione su un particolare ambito: la “riforma”, termine peraltro molto frequente nel lessico quotidiano, del rally, a partire da una dalle parole di Paolo Andreucci, che ha lanciato spesso le sue proposte innovative. Prima, però, fissiamo i punti base di questo rally, primo evento su terra, che ha visto la partecipazione di nomi importanti del CIR e del TRT ed anche qualche novità, fra cui non si può non citare Stefano Albertini, il cui team ha optato giustamente verso un programma su terra, sulla quale la giovane promessa deve crescere, se intenzionata ad ambire in alto. Da segnalare il successo dI Andreucci su Scandola, che in questa occasione è stato piuttosto sofferto a testimonianza, forse, di un maggiore equilibrio su terra, la quale si presenta a sua volta molto compatta. Protagonisti del CIR e della classifica assoluta quindi Andreucci e Scandola, con i piloti del TRT, ad esclusione di tre eccezioni, naturalmente Trentin, Ceccoli e Travaglia, non particolarmente aggressivi. Se il primo è una costante, il secondo paga spesso i numerosi incidenti, senza i quali potrebbe ambire a risultati di primissimo livello, mentre il terzo, fino ad ora, non dispone di una vettura S2000. La conclusione è spontanea, lo spettacolo ha riguardato solo il vertice. Tornando invece all’elemento portante dell’Editoriale, Andreucci ha parlato diverse volte di un aspetto quanto mai importante: i rally, o per meglio dire, il CIR, da riformare. Il punto cruciale, naturalmente, è lo spettacolo, che spesso viene meno nella gare di questi ultimi due decenni. Premetto subito che il pilota toscano mi trova assolutamente d’accordo: è necessario, prima di tutto, imparare dalla storia, che conduce sempre alla via più saggia. Non bisogna fare confusione, confondendo il ritorno al passato ad un’analisi sugli spunti utili. Insomma, la domanda dell’argomento trattato è la seguente: come cercare gli appassionati, come stimolare il pubblico? Intanto, sono indispensabili dei progressi per quel che concerne la diretta televisiva, fino ad ora applicata solo alle PS spettacolo, spesso poco emozionanti. Bisogna cercare il giusto compromesso. Altro punto fondamentale sono le vetture S2000: tecniche, ma troppo “soffocate”, limitate dal regolamento. Un’idea? Libertà nell’aspirazione. Vettura da competizione con più cavalli. L’occasione, aggiungo io, è quella giusta: si avvicina il debutto delle R5. L’obiettivo, è quello di portare spettatori, nel modo giusto. Le riprese da “gimkana”, allontano gli appassionati, non gli avvicinano affatto. Assolutamente vero, gli amanti del rally si ricorderanno i mitici Sanremo e Acropolis, per citarne due. Ora, laqualità è peggiorata, i rally sono molto brevi ed il significato della categoria è un pò svanito, a mia opinione. Pensiamo alla natura del rally: il giusto compromesso fra velocità e regolarità. In un campionato così scarno, solo otto prove, le quali sono contemporaneamente ridotte, dai cento ai duecento chilometri al massimo, azzerano il senso di un appuntamento, in quanto i piloti sono, per certi versi, costretti a porre molta attenzione: un ritiro implica nella classifica, vista comunque l’elevata competitività fra i primi due, quasi un’esclusione dalla lotta stessa per il titolo. Ecco che molte strade portano ai proclami mai realizzati. Ho trovato invece nella visione di Andreucci qualcosa di più innovativo e fresco, magari ancor più difficile da applicare, in tempi di “spending review”, ma è indubbio che ripescare sinceramente la tradizione, imparando dal passato può essere una proposta da rilanciare, con le opportune rielaborazioni.. A questo punto, spazio ai vostri pensieri!